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sabato 30 aprile 2016

GLI EROI SENZA GLORIA: MICHAEL SENDIVOGIUS, LO SCOPRITORE DELL'OSSIGENO


                                                     Fonte foto: Wikipedia

La maggior parte di voi penserà che a scoprire l'ossigeno siano stati il farmacista svedese Karl Wilhelm Scheele (anche se nel 1771 tale scoperta non venne immediatamente riconosciuta), e l'inglese Joseph Priestley, che fu più fortunato perché tre anni dopo ricevette un immediato riconoscimento pubblico. Ebbene, vi sbagliate. Ne Il volo del Pellicano, di Gianfranco Carpeoro, viene descritto come a riconoscere la presenza di questo elemento chimico fondamentale per la vita, fu Michael Sendivogius (1566-1636), alchimista polacco, nonché filosofo e medico, che assunse la guida dei Rosacroce dopo la morte di Giordano Bruno.

Sendivogius è stato un pioniere della chimica, precursore nella distillazione e scoperta di molti acidi, metalli e altri residui chimici. Nei suoi scritti, dimostrò come l'aria non fosse una singola sostanza, ma come in essa fosse contenuta un'essenza vitale, che ottenne riscaldando il salnitro. Questa "essenza di vita", 170 anni dopo fu chiamata dai sopracitati autori, ossigeno. La vita dell'alchimista polacco fu tormentata, infatti, fu imprigionato più di una volta da vari principi tedeschi che volevano arrivare a comprendere i suoi segreti. Nel 1590 viaggiò a Praga, dove venne accolto nella corte di Rodolfo II, e dieci anni dopo tornò in Polonia, presso la corte di re Zygmunt III Waza, anch'egli appassionato di alchimia. Proprio questi viaggi nelle varie corti europee, spinsero il re polacco a utilizzarlo come diplomatico.

Il suo libro più famoso è Nuova Luce dell'Alchimia, scritto in latino e pubblicato nel 1605. Questo libro, come gli altri, è caratterizzato per essere scritto in un linguaggio tipicamente alchemico, e per tale motivo comprensibile solo agli iniziati (gli alchimisti erano famosi per non farsi comprendere ai "profani"). Inoltre, le sue ricerche scientifiche e filosofiche furono riprese nel XVIII secolo da scienziati come Isaac Newton. Dopo altri viaggi in Moravia e in Boemia (dove gli vennero assegnate delle terre dall'imperatore di Habsburg), negli ultimi anni della sua vita si ritirò a Praga, da Rodolfo II, dove accrebbe ulteriormente la sua fama facendosi apprezzare come progettista di miniere petrolifere e di fonderie.

La guerra dei trent'anni (1618-1648) tolse fondi all'alchimia, e Sandivigius morì nel più assoluto anonimato nel 1622. Sendivogius non è stato l'unico Rosacroce a precedere alcune scoperte che saranno poi state riconosciute anni se non secoli dopo da altri scienziati. Altre storie come questa sono raccontante ne Il volo del pellicano che, non vi stancheremo mai di dirvelo, è un libro che va assolutamente letto.

P.S Dopo le interviste a Mauro Biglino e a Gianfranco Carpeoro, Lo Sciacallo è pronto a farvi un altro regalo, andando a intervistare un altro immenso personaggio. Restate con noi e sostenetici, cliccando mi piace alla nostra pagina Facebook e condividendo i nostri articoli.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L. Mason




giovedì 28 aprile 2016

QUANDO LA MUSICA E' ARTE: CHILD IN TIME, IL MANIFESTO VOCALE DI IAN GILLAN


                                                Ian Gillan, fonte: Wikipedia

Dopo una breve pausa, torna di nuovo sul nostro blog la rubrica dedicata ai grandi della musica. L'argomento di oggi riguarda i Deep Purple, una delle band che hanno segnato i mitici anni '70, regalando dei pezzi memorabili come Smoke on the Water, famoso per il suo celebre riff di stampo blues ideato ed eseguito dal mitico chitarrista Ritchie Blackmore. Oggi, però, prenderemo in esame il brano Child in Time, pubblicato sull'album Deep Purple in Rock del 1970, e due anni dopo su Made in Japan, in versione live, chiaramente, come tutti i brani inclusi in quell'album.

I Deep Purple hanno spesso cambiato formazione: il primo cantante, infatti, non era Ian Gillan, bensì Rod Evans; il bassista, invece, era Nick Simper. Alla prima formazione del periodo 1968-69, seguì quella più significativa, la cosiddetta Mark II: Ian Gillan e il bassista Roger Glover, si aggiunsero al già citato Ritchie Blackmore, al batterista Ian Paice e, infine, al tastierista Jon Lord. I Deep Purple, insieme a Jimi Hendrix e ai rivali Led Zeppelin, possono essere considerati i pionieri dell'Hard Rock: i lori lavori costituiscono una base di partenza fondamentale per un nuovo genere che si sarebbe distinto negli anni seguenti, ovvero l'Heavy Metal, con l'avvento dei Black Sabbath, il primo vero gruppo riconducibile a questo genere che si stava affacciando in quegli anni.

Uno dei cavalli di battaglia della band, specie quando si esibiva dal vivo, era senza dubbio Child in Time, a nostro modo di vedere, il loro capolavoro. Si tratta di una sorta di suite, il cui riff principale, come dichiarato dallo stesso Gillan, nacque da un giro di organo Hammond di Jon Lord, che si ispirò a sua volta al brano Bombay Calling, della band americana It's a Beautiful Day, da cui si sviluppò un arrangiamento diverso. Dopo un inizio quieto, a cui segue la voce sommessa di Gillan, parte una melodia con un ritmo sempre più accelerato e aggressivo, all'unisono con la voce di Gillan, che sfocia poi in una serie di acuti che hanno fatto storia. Subito dopo le parti cantante, si sviluppa l'assolo di Blackmore, in crescendo fino a una nuova interruzione che sancisce la ripresa della strofa iniziale, seguita, infine, dal suono della chitarra, unita agli altri strumenti, che rendono il suono più pesante, fino al termine del brano.

Gillan era talmente affezionato al brano che, al momento dell'uscita dalla band per dissapori con Blackmore (che lascerà anche lui dando vita ai Rainbow, per poi rientrare inseme agli altri componenti nel 1983), chiese a Glenn Hughes (bassista entrato nel gruppo in seguito all'abbandono di Glover, unitosi poco dopo ai Rainbow di Blackmore e Dio) di non riprodurre mai dal vivo il pezzo. Una promessa che venne mantenuta dal bassista. Il testo è una chiara denuncia alle atrocità della guerra. Vasco Rossi, in omaggio al brano, inserì l'intro in Lo Show, una traccia tratta dall'album Gli spari sopra (1993). Il brano, inoltre, è presente nei film La banda Baader Meinhof, Twister, e come colonna sonora in Le onde del destino e Denti.

Testo tradotto da Riccardo Venturi

Dolce bambino, col tempo
vedrai la linea,
la linea tracciata
tra il bene e il male.
Guarda il cieco
che spara sul mondo
proiettili che volano
e esigono un tributo di morte.
Se sei stato cattivo,
e scommetto, perdio, che lo sei stato
e se non sei stato colpito
dal piombo che volava
faresti meglio a chiudere gli occhi
e chinare la testa
e a aspettare il rimbalzo.


Di seguito vi proponiamo la canzone in questione, che vi consigliamo di ascoltare. Una canzone che ha contribuito a trasformare la band britannica in una vera e propria leggenda. Buon ascolto.

                                         youtube, shotguy1

Mente libera, occhi aperti
                                          Lo Sciacallo, Marcus L. Mason

536 D.C.: L'ANNO DEL BUIO E DEL GELO


La cometa di Halley
fonte: corriere.it

Quello che vogliamo raccontarvi quest'oggi è un episodio singolare che pochi conoscono, ma di cui, se si sceglie di analizzare a fondo la Storia, si arriva a comprendere l'importanza.

Siamo nel 536 D.C. Il celeberrimo Imperatore Romano d'Oriente Giustiniano è nel pieno del suo piano di riconquista dell'Occidente per riunire sotto un'unica corona, la sua, il glorioso impero che fu dei Cesari. Il suo braccio destro militare Belisario ha già completato l'annessione dell'Africa Settentrionale e delle due isole italiche, Sicilia e Sardegna. Si prepara dunque a sbarcare sul continente.
I progetti di Giustiniano e Belisario sono però destinati a naufragare miseramente; non perché essi si trovino di fronte un esercito formidabile e valoroso che li sopraffaccia. Ci pensa qualcos'altro.

Procopio di Cesarea, fonte di informazioni numero uno quando si tratta di Giustiniano, riporta che in quell'anno "il Sole iniziò a mostrarsi come un flebile disco". Ricordate il passo biblico che racconta di come, mentre Gesù si trova sulla croce, il cielo e il sole si oscurino totalmente e improvvisamente? Bene, nel 536 si verifica all'incirca lo stesso fenomeno. Solo che questa volta il tutto si protrae per un anno intero.
Il sopracitato Procopio non è d'altra parte l'unico a riportare l'evento. Come cita Franco Capone nel suo articolo apparso sulla rivista Focus Storia (n.96 dell'ottobre 2014), Zaccaria di Mitilene e Cassiodoro descrivono più specificamente il fenomeno: "Il Sole si oscurava di giorno così come la Luna di notte, mentre l'oceano era in tumulto con nebbie e vapori; dal 24 di marzo di quell'anno al 24 giugno dell'anno successivo, ci furono freddo e neve in abbondanza, gli uccelli morivano, gli uomini erano in difficoltà" è la versione di Zaccaria. Cassiodoro rincara la dose: "Il Sole sembra aver perduto la sua luminosità, appare di un colore bluastro. Ci meravigliamo di non vedere l'ombra dei nostri corpi".
Gli eventi del 536 non sono che la punta di un iceberg che sprigiona la sua potenza devastatrice nel successivo decennio, caratterizzato da rovinose carestie, ribellioni popolari causate dalle miserande condizioni di vita, e soprattutto immani epidemie, una su tutte la peste.

Il morbo appena citato ci riporta direttamente alla vicenda di Giustiniano; la peste miete vittime senza pietà tra la popolazione dei territori da lui controllati, un quarto sul totale dell'Impero bizantino. Ed è proprio qui che la Storia è a un bivio: cosa sarebbe accaduto senza questi fenomeni climatici/atmosferici straordinari? L'Impero Romano, sotto l'egida di Giustiniano, sarebbe davvero potuto tornare all'antico fulgore? Non lo sapremo mai.

Addentriamoci però ulteriormente negli eventi del 536. Ce ne siamo occupati in relazione alla regione mediterranea, ma le fonti assicurano che in realtà il tutto è su vastissima scala. Agricoltura annientata nelle regioni britanniche; forte inaridimento delle vaste steppe della Russia e dell'Asia, che costringono le popolazioni stanziate in quei territori a spostarsi e a giungere fin nella penisola balcanica.
Ma si arriva fino in Estremo Oriente e nelle Americhe: si hanno notizie sulla decimazione (un eufemismo, addirittura il 75%) delle genti cinesi, scomparsa del bestiame nelle regioni mongole.
Le ribellioni in Messico e Perù sono al contrario di natura più "mistica": in quanto società teocratiche, sono gli dèi il primo bersaglio della popolazione, duramente provata dal freddo e dalla fame. Sono molteplici, in questo senso, gli assalti e le distruzioni di templi e luoghi sacri.

A questo punto, però, la domanda sorge quasi spontanea: qual è la ragione di questo spaventoso fenomeno?
Nei secoli, la scienza ha provato a fornire una spiegazione che fosse più convincente della collera divina. La prima cosa appurata è che l'oscurità debba essere stata necessariamente provocata da un sollevamento nell'atmosfera di polveri e detriti. Provocato però da cosa?
Un'ipotesi interessante ha iniziato a prendere corpo nel 2008, in occasione del ritrovamento, in Groenlandia, di uno spesso cumulo di sostanze ad alto contenuto di zolfo, databili proprio intorno al 536, depositatosi lì in seguito ad un'eruzione vulcanica.
Si tratta, con ogni probabilità, dell'Ilopango, in Salvador. C'è però un altro problema: le sostanze eruttate dall'Ilopango non avrebbero mai potuto rimanere sospese nell'atmosfera terrestre per dieci anni e più, quindi ci dev'essere di più. Entra nella vicenda la notoria cometa di Halley.
Essa infatti transita nei pressi della Terra intorno al 530, e scarica diverso materiale ghiacciato nell'atmosfera che poi si "schianta" sul nostro pianeta, pare nella zona del golfo di Carpentaria in Australia, uno dei maggiori epicentri.

Rimandiamo ad alcuni studi chi volesse approfondire l'argomento: i più autorevoli sono quelli di David Keys (Catastrofe!), l'honkonghese David Zhang e l'irlandese Michael Baillie, che se ne sono ampiamente occupati, specialmente alla ricerca delle cause.

Noi vogliamo chiosare con una riflessione: spesso ci siamo ritrovati a parlare di organizzazioni segrete, che decidono i destini della nostra società e delle nostre vite. Essi tengono in mano tutto, il potere supremo di indirizzare la storia e gli eventi in modo da favorire i propri interessi. C'è però qualcosa che persino questi potenti dell'ombra non possono controllare e governare; la si può chiamare natura, lo si può chiamare volere divino, in base alla nostra fede e al nostro spirito. Ma la sostanza non cambia; anche loro devono rendere conto a qualcosa, anche i loro piani possono andare all'aria. Questo ci dimostra ancora una volta, nel buio della nostra realtà, che uno spiraglio di luce lo possiamo ancora scorgere. Facciamo sì che non si spenga.

Mente libera, occhi aperti
                                            Lo Sciacallo, Marcus L.Mason

domenica 24 aprile 2016

LA BIBLIOTECA DELLO SCIACALLO: IL VOLO DEL PELLICANO, UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI MISTERI DEI ROSACROCE



Come vi avevamo anticipato nell'articolo-intervista al Gran Maestro Gianfranco Carpeoro, la rubrica di oggi è dedicata proprio al suo ultimo libro, "Il volo del pellicano", che presenterà il prossimo venerdì presso l'Abbazia di Chiaravalle (Milano), un luogo non casuale, visto che riveste un'importanza fondamentale all'interno del romanzo.

Si tratta di un thriller alchemico-esoterico, che ha come protagonista Giulio Cortesi, un grafico quarantenne con la passione per la cucina e la musica. Giulio ha però perso il lavoro, e trascorre la sua vita tra la palestra, la pasticceria e la casa, e anche la sua vita coniugale non sembra andare per il verso giusto. Tuttavia, però, la sua esistenza viene completamente stravolta dopo una visita al cenacolo, dove incontra Annibale Mercurio, un docente di storia e filosofia al liceo classico di Torino. Annibale lo coinvolgerà in un'affascinante e misteriosa ricerca sui Rosa+Croce, partendo da un'analisi accurata delle opere del Giorgione, che lo porteranno a conoscere la saggezza e i segreti della confraternita. Ma i colpi di scena non finiscono qui, perché poco più tardi verrà coinvolto anche in un omicidio e, per scagionarsi, si metterà a capofitto nella ricerca della verità affiancando lo scorbutico commissario Bertossi, che in seguito diventerà suo amico personale. Andando avanti con la ricerca sui simboli della confraternita, arriverà a svelare l'enigma alla radice dei quadri del Giorgione e, alla fine, riuscirà a scoprire la verità sul delitto.

Il libro è fantastico e funziona sotto tutti i punti di vista: l'autore unisce con maestria il giallo, l'esoterismo e la storia, investigando su Rosacroce, i Templari e la Massoneria. Anche alla fine del romanzo, quando tutta la storia sembra essersi conclusa, Carpeoro spiazza ancora una volta i suoi lettori, da autentico fuoriclasse, fornendo un approfondimento sui personaggi di spicco della confraternita, e mostrando i dipinti più celebri dei pittori rosicruciani. Nel romanzo troviamo citate anche le opere più importanti dei Rosa+Croce, invogliando così il lettore alla lettura di esse, un po' come Giulio Cortesi, sempre più incuriosito dai segreti di questa società iniziatica. Saranno soddisfatti anche gli appassionati di cucina e musica, ma anche quelli di cinema, con il consiglio alla visione del film "I Lautari", una pellicola importante per capire lo spirito della confraternita.

Di seguito vi proponiamo la recensione dello stesso autore, con il magnifico sottofondo musicale di Aldemaro Romero...

                                          Youtube, carpeoro


Mente libera, occhi aperti
                                          Lo Sciacallo, Marcus L. Mason





venerdì 22 aprile 2016

LO SCIACALLO INTERVISTA GIANFRANCO CARPEORO: "VI RACCONTO LA STORIA DEI ROSACROCE. E SUL DOTTOR JEKYLL E IL SIGNOR HYDE..."

                     
                                         Fonte immagine: youtube, words mean all

Dopo l'intervista allo studioso Mauro Biglino, Lo Sciacallo torna a fare un regalo ai propri lettori, intervistando il Gran Maestro Gianfranco Carpeoro, in arte Giovanni Francesco Carpeoro, uno dei massimi esperti di simbolismo e di Rosacroce. Carpeoro, che venerdì 29 aprile, presso l'Abbazia di Chiaravalle (Milano), presenterà il libro "Il volo del pellicano", un thriller alchemico-esoterico incentrato sulla figura di Giorgione e di altri personaggi di spicco della confraternita, di cui vi consigliamo la lettura (domenica ne parleremo in modo approfondito nella nostra consueta rubrica dedicata ai libri), ci ha descritto tutta la storia della confraternita, partendo dalle origini fino ad arrivare ai giorni nostri.

Dottor Carpeoro, come nascono i Rosacroce?

"I Rosacroce - esordisce l'ex direttore della rivista massonica Hera- nascono con la Stirpe di Davide. Il terzogenito di Abramo, Giacobbe, quando stabilisce determinati compiti ai suoi dodici figli, che simbolicamente rappresentano le dodici tribù ebraiche, probabilmente di dodici etnie diverse, semite e non, stabilisce la tribù di Giuda. Da Giuda viene poi l'albero di Iesse, e suo figlio, Davide, ristabilisce la regalità a Giuda, perché il predecessore era Saul. Da lì in avanti, la stirpe di Giuda diventa Radix Davidis. Per tale motivo è un personaggio di fondamentale importanza ai fini di questa tradizione, che prima si chiamava stirpe di Giuda e, ancor prima, Ordine di Melchisedec. Poi arriva il figlio di Davide, Salomone, dopodichè arriva Gesù Cristo".


"Se voi prendete il Vangelo di Matteo, scoprirete che lui fa tutta la genealogia, dimostrando che anche Gesù Cristo discendeva da questa stirpe, sia da parte di padre che di madre. Vi siete mai domandati il significato di INRI? INRI è Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. Perché sottolineare che era il Re dei Giudei? Sapete che i presidenti degli USA giurano su Genesi 49 senza saperne il motivo?".



Il nostro tricolore trae origine da questa tradizione?

"Certo, dalla Genesi. Perché in questo passo della Genesi si dice che il Re è Giuda, citando i colori verde, bianco e rosso associati al latte, ai bracci della vite e al sangue. A Milano nasce una loggia denominata Cisalpina, sponsorizzata da un barone austriaco, Joseph von Wilzeck, allora intendente dell'imperatore d'Austria per il Regno lombardo-veneto, che era un Rosacroce. Lui fa tre cose molto importanti: primo, sceglie per la loggia Cisalpina, quella delle cinque giornate di Milano, il maestro venerabile successivo che sarà Pietro Verri; poi, successivamente, sceglierà i colori bianco, rosso e verde per la bandiera della prima repubblica d'Italia, nata a Milano, e farà esordire Mozart (altro Rosacroce, ndr), alla Scala. E Mozart era giovanissimo".

"Più tardi vengono riorganizzati da Gioacchino da Fiore. C'è da dire che la Radix Davidis pervade e si afferma all'interno del mondo cristiano, ma si afferma come perdente, perché la vera Radix Davidis è zoroastrica, invece, immediatamente dopo l'operazione di Costantino cominciano ad essere perseguitati come eretici. Chi fa un'operazione di recupero è proprio Gioacchino, che per tale motivo si procurerà una guerra tremenda, perché il suo ordine verrà riconosciuto dieci anni dopo averne avanzato la richiesta. Lui aspirava al riconoscimento del suo ordine all'interno dell'Abbazia di Casamari (Frosinone), all'epoca la più importante d'Italia, ma vincerà la battaglia molti anni dopo, in età avanzata. Lui riorganizza la confraternita sotto il nome di Gioacchiniti, e, soprattutto in Italia, rinuclea la Radix Davidis parlandone apertamente, e allargando l'ordine anche a personaggi estranei alla linea di sangue".

                                         Fonte: www.carpeoro.com

"La Radix Davidis si afferma nelle corte medievali, e comincia ad aprirsi anche al mondo islamico. C'è un personaggio, Raimondo Lullo, che siccome parlava e scriveva perfettamente in arabo, divenne ben presto una figura importante per l'epoca. Succede che, sopravvivendo nelle corti, come ad esempio quella di Federico II, con tutti quei poeti un po' particolari, come ad esempio Cecco Angiolieri, passando per i Fedeli in Amore di Dante Alighieri, fino ad arrivare ad alcuni personaggi poco conosciuti come Cecco d'Ascoli. C'è una differenza, però, tra Dante e Cecco: che mentre Dante veniva protetto ovunque andasse, Cecco fu messo al rogo a sessant'anni. Questo perché parte dei Rosacroce erano dialoganti con il potere, perché avevano  un compito diverso rispetto agli altri fratelli. Si possono citare come esempi, Dante e Leonardo da Vinci, mentre un altro personaggio non dialogante con il potere è stato Giordano Bruno, condannato anche lui al rogo".

"Dante avrebbe potuto benissimo essere sepolto nella tomba di famiglia, a Firenze, ma fu una sua scelta quella di essere sepolto a Ravenna. Il bando, cui era stato condannato il poeta, decade con la morte. Ma i Rosacroce si sono occupati anche di politica. Francesco Bacone, ad esempio, scrisse "La nuova Atlantide". Quando divenne cancelliere della corona in Inghilterra, per realizzare il suo progetto politico, cercò di impadronirsi del potere, iniziando a stampare moneta".

Quindi il signoraggio bancario parte da lì?

"Beh, il signoraggio bancario, così come il concetto di banca, proviene dall'area esoterica. I Templari inventarono l'assegno, perché viaggiare con i soldi era pericoloso".

Proprio a proposito di Templari, Carpeoro ne ripercorre la storia:

"I Templari sono un progetto della Radix Davidis fallito. Lo scopo dei Templari era quello di ricostruire il tempio, ovvero, di ricreare l'integrità del tempio. Quindi lo scopo non era quello di conquistare Gerusalemme, perché l'ordine nacque dopo la prima crociata, quando Gerusalemme era già stata conquistata. Loro non furono distrutti dal Papa, ma finirono per autodistruggersi. A uno dei personaggi più importanti dei Templari, Rinaldo di Chatillon, venne la balzana idea di far pagare un pedaggio agli arabi che visitavano Gerusalemme, e in seguito decise di far pagare un pedaggio pure su La Mecca. Se fino ad allora gli arabi, che erano divisi, avevano sopportato, seppur malvolentieri, il pagamento del pedaggio su Gerusalemme, dopo quest'altro affronto decisero di unirsi, riconquistando Gerusalemme. Nel momento che i Templari hanno perso il tempio, sono morti".

Oggi, che fine hanno fatto i Rosacroce? 

"In questo momento l'ordine è fermo. I Rosacroce non hanno mai avuto delle strutture, si riunivano solo una volta l'anno al giovedì santo, nel luogo indicato dall'Ormus (il capo della confraternita, ndr) del tempo. Mano a mano stanno morendo i membri di novant'anni...".

E la Massoneria?

                                               Fonte foto: wikipedia


"La Massoneria è stata utilizzata dai Rosacroce, prendendo dalla tradizione costruttoria, usandola come scatola nella quale iniettare alcune cose. Poi, però, la massoneria fece un altro tipo di percorso. La rottura tra i Rosacroce e la massoneria avvenne a Jalta: perché i Rosacroce sponsorizzavano la creazione di due stati, uno ebraico e uno palestinese, mentre la massoneria sponsorizzò la creazione della sola Israele. Alla conferenza erano presenti tre massoni (Roosevelt, Churchill e Stalin, ndr), ma nessun membro dei Rosacroce".

Stalin era massone?

"Sì, Stalin era massone, Lenin no. Stalin era entrato in una loggia di potere per comodità. Trockji, che era il Gran Maestro della massoneria sovietica di rito scozzese, ha preso 14 milioni di marchi dalla loggia tre globi di Berlino per finanziare la rivoluzione russa. Dopo la rivoluzione, questa loggia tedesca ha chiesto a Lenin e a Trockji come avrebbero restituito questo finanziamento, e lì Lenin e Trockji si sono scontrati perché il primo non aveva intenzione di restituirli. Teniamo presente che la richiesta della loggia non riguardava davvero il denaro prestato, bensì il progetto della costruzione di una società ideale teorizzata da sempre dai Rosacroce: basti pensare a testi come l'Utopia di Tommaso Moro, La città del Sole di Tommaso Campanella (ve ne abbiamo parlato in una delle puntate della nostra rubrica dedicata alla biblioteca, ndr), Cristianopolis di Johannes Valentinus Andreae, per capire cosa volessero realizzare. Lenin, invece, diede delle risposte diverse, andando più verso la direzione degli Illuminati di Baviera di Johann Adam Weishaupt, rinnegando l'origine esoterica del Socialismo, come la Comune di Parigi. Lenin cercò di realizzare il Socialismo materialista".

Tornando a Dante, quali sono i significati reali che si celano nella Divina Commedia?

"C'è da studiarla per tutta la vita. La Divina commedia contiene codificazioni astronomiche, astrologiche, matematiche, connotazioni scientifiche dell'epoca, ecc. Dante, che era stato un allievo di Brunetto Latini, l'autore del "Tesoro dei tesori", immette nella Divina Commedia diversi livelli di conoscenza. Lì ci sono più chiavi di lettura, ed è difficilissimo ridurla a una cosa sola. Poi, chiaramente, a scuola si finisce per semplificare il tutto, ma li capisco".

Proseguendo nella sua narrazione, Carpeoro ci racconta la storia di Alarico, anch'egli appartenente alla stirpe di Davide...

"Io, nel Re Cristiano, descrivo dove si trova la tomba di Alarico, il problema è che nessuno è andato a controllare. Molti sono convinti che fosse un barbaro, ma non è affatto così: Alarico era stato educato in scuole cristiane, e il suo precettore era un vescovo goto che si chiamava Ulfila, un vescovo importantissimo perché grazie alla sua traduzione del vangelo in goto ci ha consentito di decifrare la lingua gota. Alarico era cristiano e, essendo romano, divenne a vent'anni governatore dell'Illiria, per cui lo stereotipo del barbaro non esiste. Inoltre, la linea dei "Ric", a cui appartenevano ad esempio Alarico e Teodorico, era la linea di sangue corrispondente alla Radix Davidis per il popolo goto".

"Quando i goti si sono divisi in visigoti e ostrogoti, i primi sono andati in Francia. In goto, i visigoti si chiamavano Derving, e gli ostrogoti Burgund, e quando i Derving vanno in Francia, lì si ci sono i Miriamici. A questo punto succede che nasce un nuovo popolo, e la M di Miriam viene anteposto a Derving, dando vita ai Merovingi. Alarico era un predestinato, perché era frutto della fusione tra la Rosa di Sharon, che stava a rappresentare i popoli del nord, e il Giglio della Valle, ovvero i popoli del sud. E la Rosa di Sharon e il Giglio della Valle erano i simboli dei Rosacroce". 

"Poi Alarico si reca a Roma dove c'era la sua compagna, Galla Placidia, anche lei predestinata, visto che apparteneva alla Rosa di Sharon, in quanto nipote di Vespasiano ma soprattutto perché era la pronipote di Giulio Cesare. Altro stereotipo vuole che Alarico morì a Cosenza di malaria, quando in realtà fu avvelenato dal suo rivale rimasto pagano, Saro. Di tutta fretta Galla Placidia riparte per la Francia, e il progetto di Alarico di portare a Gerusalemme quanto preso dalla sua compagna a Roma fallì. Che poi era anche il progetto dei Templari. Questa cosa importante, che nessuno sa cosa fosse, doveva essere così importante tanto da spingere Galla Placidia a farsi costruire un mausoleo, a Ravenna, per evitare che fosse trovata dai nemici. Lei, invece, è sepolta a Roma" (ora potete capire i motivi della scelta di Dante di farsi seppelire a Ravenna, ndr).

E Leonardo da Vinci? Che ruolo aveva?

"Leonardo era una specie di agente segreto dell'epoca, aveva quel compito lì. Lui veniva adorato sia da Ludovico il Moro, sia dal Re di Francia, che sconfisse Ludovico, il quale lo mise a 200 m dalla sua residenza di campagna, costruendo un cunicolo sotteraneo per andare a trovare Leonardo di nascosto. Ma non è finita qui, perché quando venne a sapere dell'imminente morte di Leonardo, lasciò la corte e per recarsi nel palazzo che ospitava Leonardo, restando quattro giorni al capezzale dell'artista per accompagnarlo alla morte. Questa scena venne raffigurata in un celebre quadro di un pittore dell'epoca: nel quadro ci sono un prete, il Re di Francia al capezzale e Leonardo morente. Lui aveva il mestiere di essere contiguo al potere, a differenza di Raffaello, che è sicuramente morto avvelenato, o Giorgione".

Carpeoro ci spiega poi l'importanza degli specchi per i Rosacroce, un simbolo molto utilizzato nel linguaggio degli iniziati alla confraternita...

"Innanzitutto diciamo che Leonardo non era mancino, scriveva con la destra e pure dritto se voleva. Tanto è vero che l'unica frase perfettamente dritta che abbiamo trovato nei suo 13000 fogli (nonostante fosse un 'lento', ndr), risale alla morte del padre, che lui odiava: "Oggi, in tale data, è morto Ser Piero da Vinci". Per i Rosacroce la specularità era fondamentale, e per comprendere le opere di Leonardo devi metterle davanti a uno specchio. Quando uno viene iniziato a massone, entra in un posto che si chiama 'gabinetto di riflessione'. In questo luogo c'è uno specchio, situato dietro un armadietto chiuso da due antine, dove sotto compare la scritta "se la curiosità ti ha condotto in questo posto, vattene". Questo perché la gente, che collega la curiosità con le antine, inevitabilmente apre le antine, dove c'è lo specchio. Addirittura, alcune logge antiche, ti mettevano uno specchio dove il soggetto compariva capovolto. In realtà tu davanti a uno specchio compari sempre capovolto, perché la destra diventa sinistra e viceversa, però in quel modo veniva evidenziato maggiormente. Sempre nel gabinetto troviamo un teschio, una penna con un calamaio con una penna d'oca, il sale, lo zolfo e il mercurio, un gallo dipinto in alto e infine la scritta che vi ho citato prima".

Cosa ci sa dire sulla leggenda che vede i Rosacroce conoscere con largo anticipo e precisione, come nel caso di Campanella, la data esatta della loro morte?


"Tutti, compreso Giordano Bruno. Lui addirittura se la costruì la sua morte (vedere un nostro articolo precedente sul tema, ndr). Credo che abbia ricevuto una soffiata da qualche amico che lo aveva informato del fatto che i Giordaniti (questo era il nome che aveva assunto la confraternita sotto la sua guida, ndr) erano stati scoperti".

Anche Cagliostro era cosciente del fatto che sarebbe stato ucciso, visto che aveva aperto un tempio egizio nei pressi del Vaticano. A questo punto, però, Carpeoro ci sorprende con una storia incredibile, che mescola la vicenda di Cagliostro a quella di un protagonista di un celebre romanzo...

"Cagliostro voleva morire, e io di questo ne parlo ne Il volo del Pellicano. Cagliostro ad un certo punto va in Inghilterra e, siccome è affascinato dall'alchimia, inizia a sperimentare, finché ad un certo punto scopre un alambicco che lo rende molto giovane e tonico. Il fatto è che quando si trova in questa situazione sorge un problema, perché perde il controllo di se stesso. Ad un certo punto decide di confidarsi con un maestro venerabile di una loggia di rito scozzese di Edimburgo; questi gli dice innanzitutto che occorreva coprire tutte queste malefatte che combinava quando si trovava in questo stato, e, in secondo luogo, gli consigliò di smettere di assumere questo alambicco. Nel frattempo, un massone di Palermo, convince un 'fratello' dell'anagrafe a fabbricare la possibilità che il Marchese Pellegrini, nipote del Re di Portogallo, cresciuto dai principi d'Aquino, a Malta, diventasse Giuseppe Balsamo, nato a Palermo. In modo tale che tutte le malefatte le commettesse sotto il nome di Giuseppe Balsamo, mentre il resto potesse essere associato al Pellegrini, in attesa di curarsi". 

"L'operazione riesce, il problema, però, è che pur smettendo di assumere quella sostanza, rimane malato. Per cui inizia a picchiare la moglie, a rubare soldi per giocare, rischiando pure di ammazzare una persona. Nei momenti di lucidità, però, si rende conto di questo sdoppiamento di identitùà, per cui va a Roma con l'intenzione di aprire un tempio egizio, mentre, nel frattempo, racconta tutto alla moglie, pregandola di denunciarlo all'Inquisizione, nonostante le resistenza di quest'ultima, che lo amava da morire. Napoleone, che era un altro membro della fratellanza, mandò un esercito per liberarlo. Questo esercito arrivò puntuale a San Leo, ma Cagliostro, che lo venne a sapere, si fece avvelenare, perché non volle farsi trovare vivo".

"Il maestro venerabile a cui si era rivolto Cagliostro, nello stesso periodo, stilerà un diario che ispirerà suo nipote, Robert Louis Stevenson, autore del romanzo intitolato Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.

Parliamo di Mozart. Qual è la verità sul requiem rimasto incompiuto?

"Mozart scrisse il requiem per se stesso. Alla moglie disse che lo stava componendo per l'intendente del conte austriaco Franz von Walsegg zu Stuppach. Peccato che più tardi si scoprì che quell'intendente era morto quattro anni prima. Per cui questo requiem appare un po' tardivo...".

Questa è l'ennesima dimostrazione di come i membri della fratellanza conoscessero la data della loro morte...

"La dicitura era che un Rosacroce vive come il pellicano, muore come il cigno e risorge come la fenice".

Sempre per quanto riguarda l'arte, quali sono stati gli ultimi Rosacroce?

"L'ultimo è stato Salvador Dalì. Uno degli ultimi, che ho conosciuto, è Aldemaro Romero (compositore, e direttore d'orchestra venezuelano, ndr)".


Potete notare come la nostra società sia stata guidata nei secoli da questa confraternita, che ha cercato sempre di dare un contributo importante per l'avanzamento scientifico, culturale, artistico e spirituale alla nostra società. Purtroppo, come spesso accade, non tutti hanno colto il grande messaggio custodito dalla confraternita, delusa più volte dall'atteggiamento remissivo dell'umanità, che non è mai stata in grado di compiere quel passo significativo che da secoli i membri dei Rosacroce attendono con trepidazione. Ringraziamo Carpeoro per la disponibilità concessaci, per la piacevole chiacchierata, per gli spaghetti (assai squisiti) e, cosa altresì importante, per la piacevole scoperta dei Doobie Brothers.

Mente libera. occhi aperti
                                              Lo Sciacallo, Marcus L. Mason

 






 


 












                                                                                                                      



                                                                              

                          
     

giovedì 21 aprile 2016

"PERFETTI SCONOSCIUTI", "LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT", "VELOCE COME IL VENTO": ARIA FRESCA NEL CINEMA ITALIANO


fonte: cinematografo.it

Cari lettori, per una volta, il nostro pezzo di oggi è un plauso, perché dopo un tempo che ci sembra infinito, vediamo chiaramente un cambiamento all'interno dell'azienda cinematografica italiana.
Nei primi mesi di questo 2016, sono state distribuite nelle nostre sale tre pellicole italiane che non esitiamo a definire dei piccoli gioielli: Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, Lo chiamavano Jeeg Robot dell'esordiente Gabriele Mainetti e Veloce come il vento di Matteo Rovere. Vediamo perché abbiamo in così grande considerazione questi film.

Partiamo da Perfetti sconosciuti, uscito in sala nel periodo di San Valentino. E' però questo il film "anti-san valentiniano" per eccellenza. Come più o meno tutti saprete ormai, viene narrata la storia di tre coppie più un amico che si ritrovano per una cena; all'improvviso una di loro propone un gioco che consiste nel condividere con i presenti ogni messaggio, chiamata o WhatsApp per tutta la serata; ovviamente non c'è nessuno che non abbia i suoi bravi scheletri nell'armadio che puntualmente saranno svelati.
Cominciamo dicendo che tra i tre film che abbiamo citato, questo è il meno originale, quanto meno rispetto alla struttura e alla messa in scena. E' un classico kammerspiel, cinema da camera, sceneggiatura costruita interamente sui dialoghi e azione che si dipana totalmente (o quasi) in interni. E per la verità in Italia di pellicole con questo taglio ne abbiamo viste parecchie, anche recentemente; basti pensare a due titoli addirittura del 2015: Il nome del figlio di Francesca Archibugi (remake del transalpino Cena tra amici del 2012) e Dobbiamo parlare di Sergio Rubini.
Che cosa allora pone Perfetti sconosciuti un gradino sopra gli altri? Innanzitutto il ritmo che Genovese dà alla sua regia. Si sviluppa in una sorta di climax di montaggio e di recitazione man mano che i segreti e i sotterfugi dei vari personaggi vengono a galla. Il film diventa quasi un thriller, con lo spettatore che è inchiodato alla poltroncina senza possibilità di distrazione.
Genovese poi azzecca in pieno la scelta degli attori: va sul sicuro puntando sul grande talento di Valerio Mastandrea (troppo spesso sottovalutato) e di Alba Rohrwacher (forse la miglior attrice italiana del momento). Si porta dietro il fido Marco Giallini, ormai tra i protagonisti (positivi) del cinema italico di questi ultimi anni, e costruisce un ottimo (ma viscidissimo) personaggio sul buon caratterista Edoardo Leo, che dà il meglio. Le controparti femminili Anna Foglietta e Kasia Smutniak, l'ideatrice del gioco "mortale", spesso attrici solari, sono al contrario brave a tratteggiare dei personaggi profondamente negativi, che nascondono perversioni sessuali (andare in giro senza mutandine) e relazioni extra-coniugali assortite.
Il colpo di genio è però la splendida interpretazione di Giuseppe Battiston, il grillo parlante del gruppo. E' lui a sviscerare la teoria che sta alla base del film (la dipendenza totale dalla tecnologia, semplificando) e a lui è riservata l'ironica e perfetta scena finale. Grande passo avanti per Genovese, dopo titoli dimenticabili come Immaturi, e speriamo che si confermerà anche in futuro.

La sorpresa più grande è però senza dubbio Lo chiamavano Jeeg Robot, scritto e diretto dall'attore e debuttante regista Gabriele Mainetti. Si tratta del secondo esperimento tentato dal cinema di casa nostra col filone super-eroistico imperante degli ultimi anni (chissà che non approfondiremo l'argomento...), dopo il quasi fallimentare Il ragazzo invisibile di un guru come Gabriele Salvatores (cinematograficamente e al botteghino). E questa volta il risultato è sbalorditivo.
E' la storia di Enzo Ceccotti, un piccolo delinquente di borgata, incarnato da Claudio Santamaria. Durante una fuga si nasconde nelle acque del Tevere e, una volta uscitone, si ritrova dotato di una forza impressionante. Lì cominciano le sue disavventure per sventare le trame del boss borgataro di Tor Bella Monaca, Fabio Cannizzaro alias Zingaro, un eccezionale Luca Marinelli, che si conferma l'attore italiano più interessante di questa nuova generazione, anche per la sua partecipazione al magnifico Non essere cattivo, ultimo film del compianto Claudio Caligari.
Stupisce poi la protagonista femminile, Alessia, che ha il volto dell'ex concorrente del Grande Fratello Ilenia Pastorelli, al suo esordio. In barba ai pregiudizi, l'attrice romana costruisce un personaggio potentissimo, capace di enormi doti empatiche nei confronti dello spettatore. Appassionatissima del vecchio cartone giapponese, è lei che crede di rivedere il suo eroe Jeeg Robot/Hiroshi Shiba in Enzo (da qui il titolo del film); ed è sempre attraverso Alessia che dovrà passare la redenzione e la finale catarsi del protagonista. Non ci dilunghiamo più di tanto su questo film, vi accorgerete guardandolo che merita tutta l'attenzione che ha avuto; se ve lo siete persi a febbraio, niente paura: proprio da oggi viene ridistribuito in sala. Correte!

Chiudiamo con Veloce come il vento, di Matteo Rovere, da circa un paio di settimane nei cinema. In questo caso si parla di cinema su strada, ambientato nel mondo delle corse. Giulia De Martino, interpretata dalla giovane e talentuosa Matilda De Angelis, è una giovane pilota che partecipa al campionato italiano GT. Dopo la tragica morte per infarto del padre, si ritrova in seri guai economici ed è costretta a vincere il titolo per salvare la propria casa, che il genitore aveva utilizzato come garanzia per alcuni prestiti concessigli dal proprietario di un team rivale, Minotti, e il suo fratellino, che altrimenti finirebbe in affidamento.
La morte del padre riporta a casa il fratello Loris, un inedito e istrionico Stefano Accorsi, ex pilota prodigio caduto in disgrazia e ora tossicodipendente. Dopo diverse iniziali incomprensioni, Giulia accetta di farsi "allenare" da Loris, che avrà la sua occasione di riscatto.
E' in questo senso una classica parabola di redenzione sportiva (ispirata alla storia vera del rallista Carlo Capone), ma che evita molti dei cliché tipici del genere. La sceneggiatura è solida, e costruisce un intreccio non banale, che concede il giusto spazio alle scene in pista, girate con ottimo stile da Rovere, senza però rinunciare a un importante approfondimento psicologico dei personaggi. Non ci dimentichiamo che Giulia è minorenne, nonostante le si riversino addosso enormi responsabilità, e il film riesce nell'obiettivo di mostrare tanti piccoli dettagli che fanno chiaramente intuire come la ragazza in realtà sia ancora un'adolescente; il rapporto con Loris si evolve piano piano, bilanciando sapientemente dramma e ironia, ed è direttamente proporzionale ai miglioramenti al volante.
Notevoli poi alcuni scene "su strada": quelle in pista, ma anche e soprattutto uno splendido inseguimento in macchina per le strade di Bologna come non se vedevano forse dai tempi di La mala ordina di Fernando di Leo del 1973 (tra i migliori mai visti) e dei polizieschi di Umberto Lenzi.

Insomma noi vogliamo sinceramente consigliarvi di dare fiducia ai nuovi prodotti cinematografici italiani, spesso vittime di (spesso giusti) pregiudizi. Siamo sicuri che non ve ne pentirete e ci auguriamo che tutto ciò non sia un semplice caso, ma l'inizio di un grande rinnovamento innanzitutto ideologico della settima arte in Italia. E' questo che conta davvero: non tanto che questi film siano belli, ma che siano forieri di progetti totalmente innovativi per il nostro cinema, che sfondino gli stereotipi commedia caciarona/ dramma piagnone per aiutarci a diffondere i nostri lavori anche al di fuori del nostro amato Stivale.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L.Mason



MISTERI SEPOLTI NELLA STORIA: DIE GLOCKE, LA CAMPANA DI HITLER


                                           Fonte: youtube, DarthDecervyt

Tanti enigmi sono rimasti irrisolti nel tempo. Dall'origine dell'uomo, anch'essa misteriosa, fino ad oggi, infatti, tanti misteri hanno affascinato, e continuano tuttora ad affascinare, milioni e milioni di persone in tutto il globo. Alcuni segreti sono riusciti a venire allo scoperto decenni se non secoli dopo, nonostante la coltre di mistero stesa dai vincitori di una determinata vicenda storica, altri, invece, non hanno goduto dello stesso trattamento, perché sono stati sepolti insieme ai personaggi che ne hanno inequivocabilmente alimentato il mistero.

È il caso della Campana di Hitler, chiamata dai nazisti "Die Glocke", un progetto militare il cui funzionamento e scopo rimane tutt'oggi un mistero non ancora svelato. Secondo alcuni studiosi si trattava di un'arma molto più devastante della bomba atomica americana (i nazisti peraltro avevano quasi completato l'invenzione della bomba che avrebbe sconvolto poco più tardi il Giappone), tanto da poter riuscire a ribaltare le sorti della guerra in un battibaleno, nonostante l'esercito sovietico fosse ormai a due passi da conquistare Berlino.

Si tratta di un velivolo a forma di campana, appunto, molto avanzato per l'epoca: una sorta di macchina volante, che, secondo chi sostiene la tesi aliena, sarebbe stata sperimentata dagli scienziati nazisti; tra questi c'era anche Wernher Von Braun, passato poi dalla parte americana, che avrebbe continuato a sperimentare il progetto negli USA. Nel libro "La verità sulle armi naziste", di Witkowsky, viene rivelata l'esistenza di un'arma, la Campana, la cui esistenza fu resa pubblica dall'ufficiale nazista Jacob Sporrenberg, che svelò la sua esistenza nel corso di un interrogatorio, asserendo di aver accesso alla documentazione segreta del governo polacco (gli esperimenti della Campana si stavano effettuando in Polonia), anche se le prime sperimentazioni furono portate avanti dagli scienziati del Terzo Reich nel laboratorio "Der Riese", situato al confine tra Germania e l'allora Cecoslovacchia. 

Il progetto era stato ideato dal generale delle SS, Hans Kammler,  coinvolto anche nello sviluppo delle V-2, oltre che di alcuni missili, aerei a reazione, deltaplani, e costruzioni sotterranee: una di queste, il centro Riese, fu il luogo utilizzato per sviluppare il progetto della Campana, un'arma misteriosa, con un diametro di 3,10 m e un'altezza di 4,95m, composta da due cilindri contro-rotanti, con all'interno un liquido metallico color porpora, chiamato "Xerum 525", che aveva il compito di ruotare all'interno della Campana, a gran velocità. Secondo Sporrenberg, l'aggeggio avrebbe dovuto ruotare solo per un paio di minuti, a causa dell'alto livello di radioattività del liquido, tanto è vero, che durante gli esperimenti, morirono, secondo le stime accertate dallo scrittore americano Joseph P. Farrel, circa 60 operatori. 

Purtroppo, prove inconfutabili di questa macchina di distruzione non ce ne sono, ma indizi sì. C'è anche chi sostiene che si dovesse trattare non di un'arma, bensì di una macchina del tempo, ma anche in questo caso, prove verificabili, non esistono. Resta però un sospetto, perché nel 1947 accade un fatto che avrebbe poi segnato la storia del fenomeno UFO, ossia l'incidente di Roswell, e, visto considerato che le menti più brillanti dei nazisti, come Von Braun, furono graziati dagli americani e portati in America, è legittimo pensare che alcuni esperimenti siano poi proseguiti oltreoceano e, chissà, magari la Campana è stata portata a termine con successo...

Mente libera, occhi aperti
                                            Lo Sciacallo, Marcus L. Mason




lunedì 18 aprile 2016

IL CASO WANNA MARCHI: QUANDO UNA SENTENZA DICHIARO' REALE LA MAGIA


                                          Fonte foto: Wikipedia

L'argomento di oggi può sembrare all'apparenza bizzarro e senza senso, ma andando avanti nella lettura di questo articolo vi ricrederete. Ve lo ricordate tutti il caso Wanna Marchi? La fattucchiera bolognese che si attirò le ire di mezza Italia in seguito alla sua attività di maga: è stata infatti accusata di aver approfittato della debolezza e dell'ignoranza delle persone per trarne dei benefici economici. Erano numerose, infatti, le persone che si rivolgevano alla famiglia Marchi (madre e figlia), e al mago Do Nascimento per cercare di risolvere qualsiasi tipo di problematiche che avevano sconvolto le loro vite (sia che riguardassero malattie piuttosto che scappatelle extraconiugali, eccetera).

La trasmissione televisiva "Striscia la Notizia", di fronte alle numerose segnalazioni di persone disperate che denunciavano le truffe della Marchi, decise di tendere una trappola alla stessa, ingaggiando una signora anziana che avrebbe dovuto fingere di essere interessata ai prodotti contro il malocchio forniti dalla società che facevano capo a Wanna Marchi e alla figlia Stefania Nobile, avviando così una procedura legale. Stefania Nobile, infatti, augurò alla signora "tutto il male del mondo" per essersi rifiutata di acquistare i loro prodotti. La vicenda assunse ben presto una notorietà nazionale, e le due fattucchiere furono condannate per truffa aggravata e associazione a delinquere finalizzata alla truffa.

Prima di procedere con la nostra analisi, è bene ricordare che la magia funziona quando un soggetto si assoggetta a un mago. Se questa condizione viene meno, automaticamente non si realizza l'effetto magico che aveva programmato il magus. Wanna Marchi ha sì approfittato dell'ignoranza e talvolta della disperazione di alcuni soggetti, ma ricordiamo che l'ignoranza non costituisce un alibi. Se uno si rivolge a un magus, per qualsiasi motivo esso sia, è lui il primo ad essere in difetto. Se io dono un milione alla Chiesa cattolica, e qualche mese dopo divento ateo, oppure decido di seguire un'altra dottrina religiosa, non posso chiedere la restituzione di quei soldi.

Non è ammissibile, in un paese come l'Italia, dove l'istruzione è obbligatoria, cascare in queste trappole. Tra l'altro, Wanna Marchi era una macchietta evidente, una finzione palese. Purtroppo il nostro pensiero è permeato dal pensiero magico, e chi va a Medjugorje o a Napoli per vedere il sangue sciolto di San Gennaro (che per altro era beneventano e non napoletano come si pensa), non è poi tanto diverso da chi si recava dalla Marchi. Lo schema è sempre lo stesso: ovvero, quello di un soggetto che si affida completamente al volere di un altro. Ma quando si parla di religione (da non confondere con la spiritualità, cosa più seria e non a caso individuale), guai a mettere in dubbio i miracoli; del resto, è la fede, ci dicono.

Ma la cosa più divertente, se vogliamo, di tutta la vicenda, è un'altra, e nessun giornale lo ha scritto. I giudici, compresi quelli della Cassazione, condannando Wanna Marchi e figlia al reato di truffa, hanno in qualche modo dichiarato vera la magia: in sostanza, si trattava di truffa perché l'effetto magico non si realizzava. Ma è ovvio che non si realizzasse, cosa ne sapeva la Marchi delle vicende private delle persone che chiamavano disperate a una trasmissione, possiamo dirlo, da sottosviluppati. E' truffa se io anziché quel bel telefonino che mi era stato mostrato su un sito internet affidabile, ricevo a casa un bel pacco vuoto. In quel caso è una truffa, perché il telefonino è un oggetto reale. Ma in questo caso, ci chiediamo, si può parlare di truffa?

Sia ben chiaro, la nostra intenzione non è quella di difendere un essere come la Marchi, che sicuramente si approfittava di persone deboli. Il punto fondamentale, però, è che queste persone erano dotate di intelligenza, per cui non avrebbero dovuto cadere in questa finzione. Queste cose accadono perché viviamo in una società dove il pensiero magico la fa da padrona. Usate la ragione, e vedrete che le varie maghe alla Wanna Marchi svaniscono nel nulla.

P.S: continuate a seguirci, magari aiutandoci a diffondere i nostri articoli. Lo Sciacallo è al lavoro per farvi un altro grande regalo. Dopo l'intervista a Mauro Biglino, un altro grande personaggio ha parlato con noi. Restate con noi!

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L. Mason






sabato 16 aprile 2016

RAIMONDO DI SANGRO: LO SCIENZIATO ALCHIMISTA PRINCIPE DI SANSEVERO


Raimondo di Sangro
fonte: vesuviolive.it

Per la nostra biografia settimanale, ci occupiamo di un personaggio probabilmente sconosciuto ai più, ma che conserva intatta l'aura di mistero di cui è ammantato; dai mille interessi e dalle mille sfaccettature, occupa un posto di sicuro rilievo nella storia sotterranea, quella dei dimenticati.

Raimondo di Sangro nacque il 30 gennaio del 1710 in provincia di Foggia, a Torremaggiore, località in cui la nobile casata dei Sangro possedeva un palazzo risalente al Cinquecento, tutt'oggi esistente.
Sottolineiamo che la discendenza dei Sangro risaliva direttamente a Carlo Magno e questo dovrebbe subito farvi comprendere che stiamo parlando di una stirpe storicamente fondamentale.
A causa della prematura scomparsa della madre (appartenente a un ramo cadetto della famiglia Aragona) e delle vicissitudini giudiziarie del padre (accusato di omicidio), Raimondo crebbe con i nonni, che all'età di dieci anni lo spedirono a Roma per studiare alla scuola gestita dai gesuiti, dove rimase un'intera decade e dove si specializzò in numerosi ambiti del sapere: geografia, filosofia, matematica, fisica, logica, chimica e storia; a cui si aggiunga l'apprendimento di diverse lingue, come latino, greco ed arabo.

Raimondo si spostò a Napoli nel 1730, dove visse in piazza San Domenico Maggiore in quello che è poi diventato Palazzo Sangro, adiacente all'importantissima cappella Sansevero, di cui ci occuperemo più avanti.
Fu in questo periodo che Raimondo entrò in possesso dei suoi titoli nobiliari divenendo il settimo principe di Sansevero, grazie anche al matrimonio con una sua cugina. E fu sempre in quegli anni che di Sangro cominciò a sviluppare la sua enorme passione per la scienza e l'invenzione; si dedicò a diversi progetti, tra cui innovative macchine idrauliche, nuovi tipi di rudimentali fuochi d'artificio per arrivare alla farmacologia. Studiò e perfezionò infatti anche una serie di medicamenti e farmaci.
Si impegnò anche nella scrittura e pubblicò in prima persona le sue opere, nei sotterranei della sua residenza, dove aveva posizionato i macchinari necessari per la stampa.
Ma sono le sue ricerche in campo alchemico-esoterico che ci interessano da vicino.

E' necessario a questo punto approfondire la conoscenza di un luogo che abbiamo già citato: la cappella Sansevero, chiamata anche Santa Maria della Pietà dei Sangro o, più semplicemente, Pietatella.
Fu eretta (sui resti di un antico tempio della dea Iside) nel 1590 da Giovanni Francesco Sangro, ed era inizialmente adibita a mausoleo; Raimondo intervenne pesantemente su di essa e non a caso, ma attraverso un preciso codice rituale ed alchemico-esoterico.
La cappella colpisce per le decorazioni barocche esasperate, ricca di statue e marmi variopinti, di chiara ispirazione massonica. Raimondo era infatti Gran Maestro riconosciuto delle logge napoletane dell'epoca.
Tuttavia, il vero mistero della cappella Sansevero si rivela in un piccolo armadio conservato in uno dei locali del luogo sacro; lì sono conservati due scheletri che incutono un vivido terrore a chiunque si venga a trovare di fronte a loro. Rivestiti completamente dei loro vasi sanguigni, paiono essere due individui (un maschio e una femmina) scuoiati vivi. Le leggende sugli esperimenti di Raimondo poggiano saldamente su questo ritrovamento. Diversi studi successivi propendono però per l'ipotesi secondo la quale si tratti di due modelli anatomici totalmente artificiali.
Ma non è tutto: secondo alcune fonti, il principe era riuscito, tramite le sue sperimentazioni, a perfezionare un procedimento di marmorizzazione del tessuto umano! Tre statue presenti nella cappella, il Disinganno di Francesco Queirolo (un uomo imprigionato da una rete), la Pudicizia di Antonio Corradini (un nudo femminile ricoperto da un velo) e il più celebre Cristo velato di Giuseppe Sammartino, potrebbero essere state realizzate tramite questa tecnica a metà tra il macabro e il rivoluzionario, che conferirebbe un'eccezionale sofisticatezza ai dettagli delle opere, difficilmente esplicabile altrimenti.
Di Sangro sarebbe stato anche in grado di mantenere in perfetto stato i pigmenti con cui sono decorati i dipinti della cappella. I suoi elaboratissimi esperimenti chimici, se si dovessero rivelare davvero reali, scatenerebbero un vero e proprio tsunami nel mondo della conservazione e manutenzione del nostro sconfinato patrimonio artistico.

Gli esperimenti di Raimondo non si fermarono di certo qui; gli è attribuita la messa a punto di una sorta di lampada capace di produrre luminosità per un tempo molto lungo senza consumare alcuna energia combustibile. Fu per questo soprannominata "lume eterno". Siamo nel novembre del 1752 e di Sangro decise di servirsi di una vetreria di Napoli per surriscaldare a temperature altissime un composto di sua recente invenzione. Ottenne quattro vasetti di una sostanza molle di colore tendente al giallo. Accidentalmente, la sostanza venne a contatto con una fiamma; il vasetto cominciò subito ad ardere debolmente ma senza accennare a spegnersi. In più, dopo diverse ore, la fiamma era ancora ben viva e il vasetto non era rovente. Accortosi del prodigio, Raimondo migliorò il grezzo prototipo fino ad ottenere una specie di candela o lampada che, anche dopo giorni di permanenza in uno stanzino, una volta acceso sprigionava luce ininterrottamente e senza consumare la sostanza in questione.
All'inizio del 1753 Raimondo pubblicò sulla rivista fiorentina Novelle letterarie la cronaca del suo lavoro, attirandosi una miriade di commenti scettici che Raimondo tentò di smentire proponendo una spiegazione scientifica del fenomeno adducendo l'esistenza nell'aria di particelle ignee elementari stimolate dal suo composto.
La grossa delusione arrivò nel momento in cui Raimondo si rese conto che, una volta spentasi, la fiamma non poteva in nessun modo essere riaccesa. Terminato il composto a sua disposizione, di Sangro avrebbe voluto produrne dell'altro, ma gli mancavano gli strumenti: non conosceva il tempo e la temperatura di cottura della sostanza in vetreria. Trovò però la conferma della realtà del fenomeno da lui scoperto quando venne a contatto con la tomba di una fanciulla di epoca romana sulla via Appia. Qui trovò per prima cosa un corpo perfettamente conservato e accanto ad esso una lampada che si raccontava fosse accesa dai tempi della sepoltura. Più di un millennio.
Raimondo di Sangro  morì il 22 marzo del 1771 e non riuscì mai più a riprodurre un lume eterno.

Il magus Raimondo di Sangro è un personaggio che abbiamo preso ad esempio per affermare una volta di più che, per raggiungere la vera conoscenza, è necessario allargare a dismisura gli stretti e ottusi orizzonti della nostra mente; a costo di sembrare dei folli, di andare contro lo status quo, di inimicarsi qualcuno. Questa è stata la scelta di Raimondo di Sangro, un vero discepolo della magia, se capite cosa intendiamo. Scelta che lo ha portato a vedere cose che più di trecento anni dopo ancora ci obblighiamo a definire assurde.

Mente libera, occhi aperti
                                              Lo Sciacallo. Marcus L.Mason

giovedì 14 aprile 2016

IL CASO REGENI: COSA SI NASCONDE DIETRO A QUESTA BUFERA MEDIATICA?


                                           Fonte foto: youtube, ivano03

Sarete senz'altro stati ammorbati in questi ultimi mesi dal caso che ha coinvolto il giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni, assassinato in Egitto. Un caso che ha naturalmente sconvolto l'opinione pubblica, tanto da essere costantemente presente su tutti i media nazionali. Giulio Regeni, secondo le fonti ufficiali, si trovava in Egitto per un dottorato (era iscritto all'Università di Cambridge), dov'era specializzato in conflitti e processi di democratizzazione. Il 28enne friulano, però, era misteriosamente scomparso la sera del 25 gennaio scorso (la stessa sera delle manifestazioni al Cairo per il quinto anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir, che depose l'allora presidente Mubarak). Fin qui non ci sarebbe nulla da sindacare, per lo meno agli occhi di un osservatore poco attento.

Peccato che noi dello Sciacallo, da buoni "complottisti", sappiamo che quando i media passano certe notizie, c'è sempre una ragione all'origine da ricercare, e dei messaggi da decriptare. Come ha fatto notare giustamente Stefania Nicoletti, una collaboratrice del blog di Paolo Franceschetti, i giornali hanno dato ampio risalto, in merito a questa vicenda, al lavoro dei servizi segreti italiani, il cui nome ufficiale è "Servizi di informazione e sicurezza". Mai come adesso, infatti, i nostri servizi sono esposti al pubblico ludibrio, tanto da far emergere delle falle al loro interno. Ma cosa sta avvenendo in quel di Fronte Braschi? Cosa si nasconde dietro questa vicenda? Provate a seguirci in questo ragionamento, che è solo una riflessione basata su quanto è uscito (e che solitamente non esce quando si trattano certi argomenti), sulla maggior parte dei quotidiani italiani.

Il giovane friulano è stato ritrovato morto in un burrone il 5 febbraio. Esattamente un giorno dopo dal rinvenimento del corpo, sul blog di Marco Gregoretti, è comparsa una notizia che potrebbe sconvolgere gran parte dei cittadini italiani: secondo Gregoretti, infatti, Giulio Regeni era stato arruolato dall'AISE (i nostri servizi segreti), qualche anno prima, quando gli stessi hanno cominciato una campagna pubblica per arruolare nuovi operatori. Dapprima era stato inviato in USA, poi a Londra, e con la scusa del dottorato, da sei mesi risiedeva in Egitto. Inoltre, sempre secondo questo blog, la collaborazione con il Manifesto, come accaduto per altri in passato, serviva da copertura alle sue attività di intelligence. Per saperne di più vi invitiamo alla lettura dell'articolo completo (http://www.marcogregoretti.it/complotti/giulio-regeni-era-un-agente-dellaise/).

Ma non è tutto, perché le notizie non finiscono qui. Ad aggiungere particolari alla vicenda è la notizia, data da Franco Bechis, della sostituzione di ben 86 vertici dei servizi. Il motivo sarebbe da ricondurre al modo in cui è stata gestita la vicenda dei rapimenti che ha coinvolto Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria nel 2014 e per le quali lo Stato italiano avrebbe pagato 12 milioni di euro, nonostante il governo abbia ufficialmente negato il pagamento di un riscatto. In questo articolo apparso su Libero il 5 febbraio (http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11875416/servizi-segreti-video-riscatto-greta-vanessa.html), Bechis sostiene l'esistenza di un video trasmesso su Al Jazeera in cui vengono ritratte le banconote usate per il riscatto.

Ma il colpo di grazia arriva con la lettura di un articolo apparso su Il Tempo (http://www.iltempo.it/esteri/2016/02/05/ai-servizi-segreti-e-sparito-un-milione-1.1505798). Nell'articolo, infatti, viene svelato che la cifra pagata per la liberazione delle due ragazze sarebbe di 13 milioni e non 12 come è stato dichiarato in seguito. Su Il Tempo si parla di un italiano che avrebbe preteso la sua parte nell'operazione, e di come a Forte Braschi i sospetti si siano concentrati sin da subito su alcuni elementi interni.

In questo articolo ci siamo solamente limitati a riportare le notizie pubblicate sui giornali a partire dal ritrovamento del cadavere di Regeni, senza esprimere giudizi, ispirandoci al pezzo di Stefania Nicoletti (http://paolofranceschetti.blogspot.it/2016/02/la-morte-di-giulio-regeni-e-la-bufera.html). Non possiamo però esimerci da dare un'opinione riguardo a una vicenda, che riteniamo non essere raccontata a dovere dai media, che si sono limitati a raccontarne solo una parte. Speriamo che il nostro articolo serva da riflessione, e che contribuisca a dare giustizia a Giulio Regeni.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L. Mason




domenica 10 aprile 2016

LA BIBLIOTECA DELLO SCIACALLO: "IL SANGUE DEI VINTI" DI GIAMPAOLO PANSA


fonte: il giornaleditalia.org

Per la Biblioteca dello Sciacallo, questa settimana ci sentiamo di consigliare un libro che riteniamo fondamentale nell'ambito della letteratura italiana sulla Seconda Guerra Mondiale: Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa. Per la precisione, il testo in questione si occupa delle vicende interne al nostro Paese, quelle relative alla guerra civile.

Nato a Casale Monferrato nel 1935, Pansa è sempre stato un giornalista esponente della sinistra d'opposizione. Iniziò la sua carriera nel quotidiano torinese La Stampa, ma la sua più importante collaborazione fu quella con i giornali del gruppo L'Espresso: lo stesso Espresso e Repubblica, durata ininterrottamente dal 1977 al 2008, quando si interruppe per contrasti con la linea editoriale. La sua "laicità giornalistica" da sempre propugnata lo portò a quel punto a collaborare con Libero, quotidiano schierato su posizioni decisamente più destrorse.

Parallelamente all'attività giornalistica, Pansa ha sviluppato la professione di scrittore, come saggista e romanziere. Il suo principale ambito d'interesse è la Resistenza partigiana, al quale aveva dedicato anche la sua tesi di laurea, Guerra partigiana tra Genova e il Po. La Resistenza in provincia di Alessandria. Da ricordare sull'argomento possiamo citare: I gendarmi della memoria, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945 e La grande bugia. Pubblica anche un romanzo, incentrato anch'esso sugli stessi temi: I tre inverni della paura.

Il suo lavoro più celebre è però senza dubbio quello di cui abbiamo deciso di occuparci. Il sangue dei vinti, pubblicato nel 2005, è un lungo trattato in cui l'autore prende in esame i numerosissimi casi di esecuzioni, ritorsioni e crimini perpetrati da gruppi partigiani e non nel periodo successivo al 25 aprile 1945, ovvero dopo la Liberazione, a guerra finita sul suolo italiano. Gli obiettivi erano tutti coloro che erano stati fascisti o che avevano collaborato col regime, ma persino, in alcuni frangenti, semplici anti-fascisti che non si professavano però comunisti.
Pansa sceglie di raccontare questi orrori tramite un piano narrativo ben preciso, soprattutto dal punto di vista geografico. Si parte infatti da Milano, proseguendo nel resto della Lombardia e spostandosi successivamente a tutte le altre regioni del Nord Italia, dal Piemonte alla Liguria per giungere sino in Veneto dopo aver attraversato anche l'Emilia-Romagna. La metafora di un grosso cancro fatto di violenza ed odio che si spande a macchia d'olio è evidente. Pansa non tralascia particolari e narra di processi sommari, umiliazioni e stragi che interessarono ogni fascia della popolazione.
Ciò che ha però sollevato il più grande polverone è la tesi accusatoria sostenuta da Pansa all'interno del libro; il giornalista piemontese lascia trasparire che molti dei giustiziati di quel periodo fossero partigiani non settari e giornalisti che avevano avuto la colpa di denunciare gli arbitrari crimini concretizzatisi in giustizia fai-da-te e processi-farsa, commessi dalle ali più estremiste della Resistenza Partigiana, quella più vicina al Partito Comunista Italiano (PCI) di Palmiro Togliatti. Tesi pesantemente contestata in particolar modo dall'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiana).

Consideriamo il lavoro di Pansa fondamentale perché è chiaro, a nostro modo di vedere, il tentativo di dimostrare come il male non abbia mai una sola faccia, e come sia facile arrivare a commettere azioni deplorevoli e immonde quando ci si fa guidare dall'odio e non dal buon senso e dalla lungimiranza. Siamo i primi a sostenere che la Resistenza Partigiana abbia svolto un ruolo di primissimo piano nell'abbattimento di un regime che aveva condotto l'Italia dentro una guerra sbagliata e deleteria; guerra che costò la vita a un'intera generazione di giovani italiani. Non possiamo però esimerci dall'affermare che in questi frangenti coloro che hanno alzato la mano sui loro compatrioti non si sono certamente dimostrati migliori di quelli da cui ci volevano liberare. La disumanità si era impossessata anche di loro.

Piccola nota: vi consigliamo di stare alla larga dall'omonimo film del 2008 di Michele Soavi (altrove, ottimo regista). Nulla c'entra con il libro e sviluppa la teoria di partenza di Pansa in una chiave assolutamente deleteria, arrivando a mostrare i fascisti quasi come degli eroi romantici. Delirante.

Mente libera, occhi aperti
                                              Lo Sciacallo, Marcus L.Mason


sabato 9 aprile 2016

GLI EROI SENZA GLORIA: BERTA CACERES, LA DONNA CHE DIFENDEVA LA POPOLAZIONE INDIGENA HONDUREGNA


                                        Fonte foto: youtube, Gerson Valladares

Come ogni sabato, rieccoci col consueto appuntamento dedicato ai grandi eroi della storia, uomini e donne, che si sono distinti nei loro campi di competenza, ma che sono pressoché sconosciuti alle masse. Per la prima volta sul nostro blog, dedichiamo questa rubrica a una grande donna: Berta Caceres, l'attivista honduregna assassinata lo scorso 3 marzo.

Nata il 4 marzo dei primi anni '70 (alcune fonti parlano del 1971 come suo presunto anno di nascita, altre riportano come data il '72 o il '73), si è distinta per il suo impegno a favore della causa ambientalista, difendendo i diritti della popolazione indigena autoctona (il popolo Lenca), e contribuendo a fondare il Consiglio dei popoli indigeni dell'Honduras. Cresciuta in un contesto di violenza che ha caratterizzato il Centro America negli anni '70, ha subito trovato un modello di riferimento nella madre, Berta Flores, ostetrica e attivista sociale che ha accolto e curato i rifugiati provenienti dalla vicina El Salvador.
 
Berta Caceres aveva guidato la comunità di Rio Blanco nella battaglia contro la realizzazione del complesso idroelettrico Agua Zarca, progettato per essere installato sul Rio Gualcarque (situato nell'Honduras Nord-occidentale), e sacro alla popolazione indigena. Il Rio Blanco, oltre ad essere considerato sacro dai Lenca, costituisce una fonte di risorsa idrica indispensabile per la vita di 600 famiglie stanziate nella foresta pluviale. Quest'opera, approvata senza il consenso della comunità indigena, contravvenendo perciò alla Convenzione sul diritto all'autodeterminazione dei popoli indigeni, aveva scatenato le proteste degli attivisti ambientalisti. Grazie a questa ed altre battaglie, nel 2015 era stata insignita del Premio Goldman per l'Ambiente, ossia il più alto riconoscimento concesso a un'ecoattivista.

Negli anni aveva ricevuto diverse intimidazioni e minacce di morte, da lei stessa denunciate; in particolar modo, aveva manifestato preoccupazione per l'alto numero di ecoattivisti uccisi: dal 2010 al 2014, infatti, la Ong Global Witness, aveva stimato 101 vittime nella sola Honduras. A causa di queste continue minacce di morte, è stata costretta a portare i suoi figli in Argentina, scongiurando così il rischio di rapimenti. È stata a lungo perseguitata giuridicamente dal governo, essendo tacciata di terrorismo.

Purtroppo, in quel maledetto 3 marzo del 2016, un giorno prima che potesse festeggiare il suo compleanno, è rimasta uccisa da alcuni colpi di pistola sparati, secondo la versione ufficiale, dai dei ladri mentre faceva ritorno nella sua abitazione presso La Esperanza, distante circa 200 chilometri dalla capitale Tegucicalpa. Alcune fonti sostengono che l'attivista centroamericana sia stata uccisa in casa mentre dormiva. Tutto questo, però, non convince affatto la madre, che parla invece di un chiaro attentato per fermare le sue battaglie civili.

Il mondo perde un'altra grande rivoluzionaria. Le sue battaglie, però, rimarranno impresse sui libri di scuola, e serviranno da lezione per chiunque, perché la morte non può fermare la diffusione delle idee di pace e convivenza. Berta vive, i morti sono loro.

"Quando iniziai a combattere per il Rio Blanco, riuscivo a sentire quello che il fiume aveva da dirmi. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma allo stesso tempo ero consapevole che avrei trionfato. Me lo ha detto il fiume". (Berta Caceres)

Mente libera, occhi aperti
                                          Lo Sciacallo, Marcus L. Mason





giovedì 7 aprile 2016

"GARAGE OLIMPO" DI MARCO BECHIS: STORIA DI UNA DESAPARECIDA QUALSIASI


fonte: unosguardoalfemminile.it

Lo avevamo anticipato in occasione del nostro pezzo incentrato sull'Operazione Condor (ecco il link: http://sciacallo2.blogspot.it/2016/03/operazione-condor-lennesima-vergogna.html), ed ecco arrivato il momento di tornare ad occuparci di cinema; si tratta di cinema impegnato, il miglior esempio di denuncia ai terribili regimi militari che hanno dilagato in Sudamerica negli anni '70.
Nel 1999 il regista italiano Marco Bechis gira Garage Olimpo, un film destinato a fare storia, perché come nessun altro riesce a insinuarsi tra le pieghe degli animi di torturatori e torturati, con l'obiettivo di provare a dare un senso a un male, ad un orrore che ci appare ancora più agghiacciante proprio perché non riusciamo a spiegarlo.

Bechis è nato a Santiago del Cile nel 1955 da madre cilena e padre italiano. Cresce in Sudamerica tra Brasile ed Argentina per poi stabilirsi a Milano nel 1977. Svolge diversi lavori prima di concentrarsi sul cinema: maestro elementare, fotografo polaroid e video-artista.
Il suo esordio in ambito cinematografico si colloca nel 1991, con Alambrado, pellicola dai forti contenuti sociali focalizzata sullo sfruttamento, da parte delle multinazionali, delle aree verdi dell'Amazzonia e della Patagonia.
Ma è il tema dei desaparecidos che da sempre attrae l'attenzione di Bechis. Già nel 1982, durante il periodo di frequentazione della scuola di cinema Albedo di Milano, aveva realizzato un video-installazione su un campo di concentramento argentino, intitolato Desaparecidos, dove sono? Proprio da questo suo lavoro giovanile trae ispirazione per realizzare il suo capolavoro, Garage Olimpo.

Il film, ambientato nell'Argentina del 1978, nel pieno della dittatura di Videla, narra la vicenda di Maria, una giovane attivista militante e maestra nella piccola scuola di una favela. Improvvisamente, un giorno, la ragazza viene rapita e imprigionata in uno scantinato (il "Garage Olimpo" del titolo); lo shock per lei è ancora più devastante quando le vengono tolte le bende e si accorge che uno dei suoi aguzzini non è nient'altri che Felix, affittuario nella villa dove lei viveva. Il giovane aveva tentato anche degli approcci galanti nei confronti di Maria, e più volte durante il film è chiaro che i sentimenti di Felix sono ancora forti. In effetti, Maria comprende di non essere indifferente al suo torturatore e cerca di volgere la situazione a suo vantaggio, baciandolo e facendogli capire di ricambiare la sua attrazione. Prova quindi a fuggire dalla sua prigione ma è rapidamente ripresa.

Contemporaneamente si sviluppano due storie parallele: la prima è quella della madre di Maria, Diane (interpretata dall'attrice francese Dominique Sanda), che smuove mari e monti per ritrovare sua figlia, invano. Finirà ingannata e uccisa.
La seconda vede protagonista un'altra attivista e guerrigliera, Ana, che riesce, sfruttando l'amicizia con la figlia, a piazzare una bomba nell'appartamento del comandante del centro di detenzione denominato "Garage Olimpo".

Ciò che stupisce di più, che prende letteralmente lo stomaco, del film è la concretezza dello stesso. Bechis sceglie di non utilizzare la violenza e il sadismo per esprimere l'orrore delle torture. La barbarie e le ingiustizie si intuiscono e tutto ciò arriva a trasmettere sensazioni ancora più sconvolgenti. Il regista decide di rappresentare gli aguzzini eliminando ogni eccesso di spettacolarizzazione o di scene madri, semplici giovani di strada che parlano di cose di poco conto e che giocano a ping-pong. Interessante è anche la scelta registica di catturare più volte la città di Buenos Aires tramite dei lunghi piani sequenza dall'alto, mettendo in scena la metafora di un potere occulto che tutto vede e che su tutto veglia.
Il film, in una sorta di climax emozionale, si conclude con una scena emblematica che denuncia inconfutabilmente una delle pratiche più disumane e inconcepibili di quei regimi: i voli della morte.
Dopo la morte del comandante, tutti i detenuti devono lasciare il Garage Olimpo, e tra loro anche la stessa protagonista Maria. Vengono fatti salire su un aereo senza alcuna spiegazione sulla destinazione. Il loro destino è segnato: l'inquadratura finale mostra il carrello dell'aereo che si apre in mezzo all'oceano, con il campo che si allarga.

Bechis completerà il suo dittico sui desaparecidos nel 2002 quando realizzerà Figli-Hijos. In questo caso si concentrerà su un altro aspetto altrettanto importante: cosa si prova quando si scopre che i propri genitori non sono tali e si viene a sapere di essere figlio di due desaparecidos? Anche questa pellicola merita una visione.

Il video qui di seguito è la spaventosa scena finale.


Mente libera, occhi aperti
                                             Lo Sciacallo, Marcus L.Mason

martedì 5 aprile 2016

IL CROLLO DELLE IDEOLOGIE: L'ITALIA PORTA AVANTI POLITICHE SENZA PROGETTO


                                         Fonte foto: Wikipedia

Quante volte, cercando di esprimere un qualunque pensiero in merito a una particolare questione politica vi siete sentiti rispondere che siete troppo ideologici? Nei dibattitti politici, nei talk show televisivi, ovunque, le ideologie sono viste come un qualcosa di anacronistico e malevolo, a cui è meglio prendere le distanze.

Niente di più sbagliato. Una delle ragioni per cui l'Italia è allo sbaraglio è senza dubbio il graduale allontanamento dei partiti (e di conseguenza degli elettori) dalle ideologie a cui essi erano in origine legati: dove sono finiti i vecchi socialisti, i liberali e i comunisti? Nel nostro paese non si riesce più a distinguere un politico da un altro. Negli anni passati quando si andava a votare, si sapeva che nel caso in cui avesse vinto un determinato colore politico, ci sarebbe stato un governo che avrebbe attualizzato politiche in quel senso.

L'allontananza delle ideologie ha avuto come diretta conseguenza l'assoluta mancanza di una specifica progettualità: un politico che ha un'idea ben precisa rguardo determinate questioni, non farà altro che applicare quell'ideologia per tutto l'arco del suo mandato. Avere un proprio orientamento politico è fondamentale per l'autodeterminazione di un individuo; se a un uomo fai mancare un indirizzo specifico, è sicuro che questi perderà la strada, nonché il senso delle sue azioni.

E dire che queste cose le aveva dette tempo addietro il grande Giorgio Gaber, uno che di diagnosi del sistema italico ne aveva fatte a bizzeffe, senza sbagliare un colpo. Destra e Sinistra racconta proprio quanto vi stiamo descrivendo in questo modesto articolo. Qui si vive alla giornata, infischiandosi di pensare in quale stato verserà la nostra società tra dieci anni, conta solo il presente e il voto. Ecco allora la necessità di introdurre ricette alla Vanna Marchi: gli 80 euro in più nelle buste paghe, la promessa di abbassare la pressione fiscale, ecc.

Ma come se non bastasse, l'italiano, per non farsi mancare nulla, non solo abbandona l'ideologia, ma delega il voto a personaggi che non conosce, perdendo così contatti con la politica: addio quindi alle partecipazioni ai vari congressi politici, con conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti. Troppo facile poi accusare i poltici di malafede e di pessima gestione politica, quando non si è fatto altro che votare dei simboli vuoti per poi sparire: del resto, "sono tutti uguali", destra e sinistra, "io basta che campo", è questo il pensiero dell'italiota medio.

Poi è troppo facile incazzarsi perché non si dispone più di pane a sufficienza per campare: la colpa non è del poltico di turno, ma solamente nostra. L'italiano deve imparare ad assumersi le proprie responsabilità, senza giocare allo scaricabarile (vi consigliamo la lettura di questo nostro articolo: http://sciacallo2.blogspot.it/2016/01/la-colpa-e-dei-politici-ladri-e-mafiosi.html). Purtroppo per l'italiano la cosa più importante resta il calcio. Tutto si può toccare meno che il pallone, in tal caso è pronto a scendere in piazza ad urlare tutta la sua indignazione, la questione è troppo importante per la nazione...

Mente libera, occhi aperti
                                          Lo Sciacallo, Marcus L. Mason