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sabato 2 aprile 2016

GIAN MARIA VOLONTE': IL PIU' GRANDE ATTORE MAI ESISTITO TRA TEATRO, CINEMA E MILITANZA POLITICA


Gian Maria Volonté
fonte: www.articolo21.org

Questo weekend abbiamo deciso di dedicare la nostra settimanale biografia ad un personaggio diverso dal solito: niente scienziati, scrittori o misteriosi individui. Ci occuperemo di qualcuno che tutti noi conosciamo, un uomo a tutto tondo, che ha trascorso la sua vita perennemente impegnato nel sociale e nell'arte in cui eccelleva: la recitazione, spesso utilizzata proprio strumento di denuncia e forte critica alla società: stiamo parlando del grande Gian Maria Volonté, a cui vogliamo fare questo piccolo omaggio.

Volonté passò tutta la sua infanzia nella città di Torino, anche se era nato a Milano il 9 aprile del 1933. La madre Carolina era di buona famiglia piccolo-borghese, il padre Mario era un militante del Partito Fascista. La caduta della dittatura di Mussolini causò diversi problemi alla famiglia Volonté, con il padre Mario che si ritrovò arrestato dai partigiani durante il periodo delle ritorsioni. Lo stesso giovane Gian Maria, a causa delle ristrettezze economiche della madre, all'età di soli 14 anni finì a lavorare in Francia come raccoglitore di mele per due anni. Qui però venne in contatto con le opere della letteratura transalpina di quel momento storico, in particolare si appassionò a scrittori come Jean-Paul Sartre e Albert Camus.
La recitazione venne di conseguenza: a 16 anni entrò per la prima volta a far parte di una piccola compagnia teatrale itinerante, I carri di Tespi. In seguito si iscrisse all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma dove si distinse sin da subito per il suo enorme talento che gli permise di partecipare ai suoi primi sceneggiati televisivi nel 1957: La Foresta Pietrificata e Fedra. Lavorò al Teatro Stabile di Trieste, in diverse pièces: L'idiota, Romeo e Giulietta, La buona moglie e Sacco e Vanzetti (Volonté avrebbe preso parte anche a un film incentrato sui due anarchici italiani, nel 1971).

La chiamata del cinema con un ruolo da protagonista arrivò nel 1962, sotto la direzione dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani nel film Un uomo da bruciare, dove Volonté dimostrò già tutto il suo interesse per i temi di rilevanza sociale, interpretando il sindacalista Salvatore Carnevale, che si era battuto strenuamente per i diritti dei braccianti agricoli, e che per questo era stato ucciso.


in Per qualche dollaro in più (1965)
fonte: film.it

Nel 1964, arrivò la svolta: Sergio Leone chiese espressamente Volonté per affiancarlo al giovane Clint Eastwood nel suo Per un pugno di dollari, remake del giapponese La sfida del samurai, diretto da Akira Kurosawa. Il film di Leone è universalmente riconosciuto come il principale caposaldo del cosiddetto "spaghetti-western", col quale riscrisse le regole del genere, distanziandosi notevolmente dai classici di John Ford o Howard Hawks. Il film fu un grande successo e la coppia Leone-Volonté si riconfermò l'anno seguente con Per qualche dollaro in più, in cui Volonté sfoggiò uno dei suoi personaggi-icona: l'istrionico fuorilegge El Indio.
Nella seconda metà degli anni '60 Volonté alternò alcune pellicole "impegnate" ad altre incursioni nel western: inaugurò il poi prolifico sodalizio col regista Elio Petri con A ciascuno il suo, mafia-movie tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, e recitò accanto all'emergente Lou Castel nello splendido Quién sabe? di Damiano Damiani, ambientato durante la rivoluzione messicana e con chiare allusioni politiche sinistrorse.


In Indagine su un cittadino...(1970)
fonte: wikipedia.it

Volonté infatti, parallelamente alla carriera di attore, portò sempre avanti la sua militanza politica nel Partito Comunista Italiano, ponendosi in prima linea in tantissime manifestazioni per i diritti dei lavoratori. Come già accennato, utilizzò più di una volta la sua arte per lanciare messaggi politici ben precisi, e prendiamo ad esempio i due film forse più famosi e importanti della sua carriera, realizzati rispettivamente nel 1970 e 1971, entrambi sotto la regia del già citato Elio Petri: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, la storia del capo della sezione Omicidi della Polizia che uccide la sua amante ma resta impunito anche quando vorrebbe invece confessare la sua colpa. Il sistema è fatto per proteggerlo e così deve andare. Il film vinse anche l'Oscar per il Miglior Film Straniero.
La seconda pellicola è La classe operaia va in paradiso, con Volonté nei panni di Lulù Massa, un operaio stacanovista che si lascia sfruttare fino a quando perde un dito in un incidente sul lavoro. A quel punto viene scaricato dalla fabbrica e inizia una furiosa lotta per i suoi diritti e per quelli di tutti i suoi compagni. Due film imprescindibili per qualunque amante del cinema.

Oltre a quella con Petri, Volonté inaugurò nei primi anni Settanta un'importante collaborazione anche con un altro regista che era solito occuparsi di cinema civile e di denuncia: Francesco Rosi. Fu sotto l'egida di Rosi che Volonté fornì le migliori prove di mimetismo, impersonando magnificamente nei due film-inchiesta (quasi dei finti documentari) del '72 e '73 due uomini molto discussi; prima il fondatore dell'ENI Enrico Mattei, ne Il caso Mattei, dove fu elaborata la teoria inerente a probabili interessi delle potenze petrolifere straniere nell'eliminare Mattei; e poi il gangster Lucky Luciano (anche titolo del film), a capo della malavita italo-americana per più di trent'anni.


In La classe operaia va in paradiso (1971)
fonte: claudiocolombo.net

Segnaliamo almeno altri tre lavori di Volonté degli anni '70 che riteniamo di una certa valenza.
Abbiamo Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio, sul rapporto corrotto tra stampa e potere, Todo Modo (1976) ancora di Elio Petri e ancora tratto da Sciascia sui poteri oscuri all'interno della Democrazia Cristiana, e Io ho paura (1977) di Damiano Damiani, a cui abbiamo già dedicato un intero articolo (http://sciacallo2.blogspot.it/2016_02_10_archive.html).
Sottolineiamo anche che durante gli anni '70 Volonté rifiutò di partecipare a kolossal come Il Padrino o Novecento per dedicarsi a progetti che sentiva più vicini e personali.

Purtroppo il cinema che Volonté amava fare, con l'avvento degli anni '80, scomparì poco a poco e le apparizioni sul grande schermo di questo grande attore si fecero sempre più rare. Tra i suoi ultimi lavori vale la pena di ricordare Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara, cronaca del rapimento del leader della DC, che si segnala per l'ennesima grande prova mimetica di Volonté, e Una storia semplice (1991) di Emidio Greco, altra trasposizione di un lavoro di Leonardo Sciascia.
Sul versante politico della sua vita, ricordiamo come nelle elezioni politiche del '92 per poco non fu eletto con il Partito Democratico della Sinistra nella circoscrizione di Roma, città dove viveva e dove, dopo la sua morte, gli venne dedicata una via.

Volonté morì in scena per un attacco cardiaco il 6 dicembre 1994, durante le riprese de Lo sguardo di Ulisse, del regista greco Theo Angelopoulos. Il film fu poi dedicato proprio a Gian Maria Volonté, che ha lasciato senza ombra di dubbio un'impronta indelebile in un mondo, quello del cinema, spesso dominato dal business e dagli interessi economici. Quando c'era Volonté in scena, era invece dominato dal talento, quello vero.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L.Mason