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sabato 16 aprile 2016

RAIMONDO DI SANGRO: LO SCIENZIATO ALCHIMISTA PRINCIPE DI SANSEVERO


Raimondo di Sangro
fonte: vesuviolive.it

Per la nostra biografia settimanale, ci occupiamo di un personaggio probabilmente sconosciuto ai più, ma che conserva intatta l'aura di mistero di cui è ammantato; dai mille interessi e dalle mille sfaccettature, occupa un posto di sicuro rilievo nella storia sotterranea, quella dei dimenticati.

Raimondo di Sangro nacque il 30 gennaio del 1710 in provincia di Foggia, a Torremaggiore, località in cui la nobile casata dei Sangro possedeva un palazzo risalente al Cinquecento, tutt'oggi esistente.
Sottolineiamo che la discendenza dei Sangro risaliva direttamente a Carlo Magno e questo dovrebbe subito farvi comprendere che stiamo parlando di una stirpe storicamente fondamentale.
A causa della prematura scomparsa della madre (appartenente a un ramo cadetto della famiglia Aragona) e delle vicissitudini giudiziarie del padre (accusato di omicidio), Raimondo crebbe con i nonni, che all'età di dieci anni lo spedirono a Roma per studiare alla scuola gestita dai gesuiti, dove rimase un'intera decade e dove si specializzò in numerosi ambiti del sapere: geografia, filosofia, matematica, fisica, logica, chimica e storia; a cui si aggiunga l'apprendimento di diverse lingue, come latino, greco ed arabo.

Raimondo si spostò a Napoli nel 1730, dove visse in piazza San Domenico Maggiore in quello che è poi diventato Palazzo Sangro, adiacente all'importantissima cappella Sansevero, di cui ci occuperemo più avanti.
Fu in questo periodo che Raimondo entrò in possesso dei suoi titoli nobiliari divenendo il settimo principe di Sansevero, grazie anche al matrimonio con una sua cugina. E fu sempre in quegli anni che di Sangro cominciò a sviluppare la sua enorme passione per la scienza e l'invenzione; si dedicò a diversi progetti, tra cui innovative macchine idrauliche, nuovi tipi di rudimentali fuochi d'artificio per arrivare alla farmacologia. Studiò e perfezionò infatti anche una serie di medicamenti e farmaci.
Si impegnò anche nella scrittura e pubblicò in prima persona le sue opere, nei sotterranei della sua residenza, dove aveva posizionato i macchinari necessari per la stampa.
Ma sono le sue ricerche in campo alchemico-esoterico che ci interessano da vicino.

E' necessario a questo punto approfondire la conoscenza di un luogo che abbiamo già citato: la cappella Sansevero, chiamata anche Santa Maria della Pietà dei Sangro o, più semplicemente, Pietatella.
Fu eretta (sui resti di un antico tempio della dea Iside) nel 1590 da Giovanni Francesco Sangro, ed era inizialmente adibita a mausoleo; Raimondo intervenne pesantemente su di essa e non a caso, ma attraverso un preciso codice rituale ed alchemico-esoterico.
La cappella colpisce per le decorazioni barocche esasperate, ricca di statue e marmi variopinti, di chiara ispirazione massonica. Raimondo era infatti Gran Maestro riconosciuto delle logge napoletane dell'epoca.
Tuttavia, il vero mistero della cappella Sansevero si rivela in un piccolo armadio conservato in uno dei locali del luogo sacro; lì sono conservati due scheletri che incutono un vivido terrore a chiunque si venga a trovare di fronte a loro. Rivestiti completamente dei loro vasi sanguigni, paiono essere due individui (un maschio e una femmina) scuoiati vivi. Le leggende sugli esperimenti di Raimondo poggiano saldamente su questo ritrovamento. Diversi studi successivi propendono però per l'ipotesi secondo la quale si tratti di due modelli anatomici totalmente artificiali.
Ma non è tutto: secondo alcune fonti, il principe era riuscito, tramite le sue sperimentazioni, a perfezionare un procedimento di marmorizzazione del tessuto umano! Tre statue presenti nella cappella, il Disinganno di Francesco Queirolo (un uomo imprigionato da una rete), la Pudicizia di Antonio Corradini (un nudo femminile ricoperto da un velo) e il più celebre Cristo velato di Giuseppe Sammartino, potrebbero essere state realizzate tramite questa tecnica a metà tra il macabro e il rivoluzionario, che conferirebbe un'eccezionale sofisticatezza ai dettagli delle opere, difficilmente esplicabile altrimenti.
Di Sangro sarebbe stato anche in grado di mantenere in perfetto stato i pigmenti con cui sono decorati i dipinti della cappella. I suoi elaboratissimi esperimenti chimici, se si dovessero rivelare davvero reali, scatenerebbero un vero e proprio tsunami nel mondo della conservazione e manutenzione del nostro sconfinato patrimonio artistico.

Gli esperimenti di Raimondo non si fermarono di certo qui; gli è attribuita la messa a punto di una sorta di lampada capace di produrre luminosità per un tempo molto lungo senza consumare alcuna energia combustibile. Fu per questo soprannominata "lume eterno". Siamo nel novembre del 1752 e di Sangro decise di servirsi di una vetreria di Napoli per surriscaldare a temperature altissime un composto di sua recente invenzione. Ottenne quattro vasetti di una sostanza molle di colore tendente al giallo. Accidentalmente, la sostanza venne a contatto con una fiamma; il vasetto cominciò subito ad ardere debolmente ma senza accennare a spegnersi. In più, dopo diverse ore, la fiamma era ancora ben viva e il vasetto non era rovente. Accortosi del prodigio, Raimondo migliorò il grezzo prototipo fino ad ottenere una specie di candela o lampada che, anche dopo giorni di permanenza in uno stanzino, una volta acceso sprigionava luce ininterrottamente e senza consumare la sostanza in questione.
All'inizio del 1753 Raimondo pubblicò sulla rivista fiorentina Novelle letterarie la cronaca del suo lavoro, attirandosi una miriade di commenti scettici che Raimondo tentò di smentire proponendo una spiegazione scientifica del fenomeno adducendo l'esistenza nell'aria di particelle ignee elementari stimolate dal suo composto.
La grossa delusione arrivò nel momento in cui Raimondo si rese conto che, una volta spentasi, la fiamma non poteva in nessun modo essere riaccesa. Terminato il composto a sua disposizione, di Sangro avrebbe voluto produrne dell'altro, ma gli mancavano gli strumenti: non conosceva il tempo e la temperatura di cottura della sostanza in vetreria. Trovò però la conferma della realtà del fenomeno da lui scoperto quando venne a contatto con la tomba di una fanciulla di epoca romana sulla via Appia. Qui trovò per prima cosa un corpo perfettamente conservato e accanto ad esso una lampada che si raccontava fosse accesa dai tempi della sepoltura. Più di un millennio.
Raimondo di Sangro  morì il 22 marzo del 1771 e non riuscì mai più a riprodurre un lume eterno.

Il magus Raimondo di Sangro è un personaggio che abbiamo preso ad esempio per affermare una volta di più che, per raggiungere la vera conoscenza, è necessario allargare a dismisura gli stretti e ottusi orizzonti della nostra mente; a costo di sembrare dei folli, di andare contro lo status quo, di inimicarsi qualcuno. Questa è stata la scelta di Raimondo di Sangro, un vero discepolo della magia, se capite cosa intendiamo. Scelta che lo ha portato a vedere cose che più di trecento anni dopo ancora ci obblighiamo a definire assurde.

Mente libera, occhi aperti
                                              Lo Sciacallo. Marcus L.Mason

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