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venerdì 23 dicembre 2016

IL "CLASSICO" NATALE DI UNA GRANDE FAMIGLIA ITALIANA: MARIO MONICELLI PRESENTA I SUOI "PARENTI SERPENTI"


fonte: youmovies.it

Cari lettori, il Natale è alle porte, la televisione e le radio sono ormai inondate da programmi, film e canzoni a tema e chiaramente tutti ci sentiamo più buoni. Nell'augurarvi col cuore di passare delle serene feste, ne approfittiamo per proporvi anche noi un film a tema: si tratta di una pellicola del 1992, per la regia di Mario Monicelli, intitolata Parenti serpenti.

Il regista in questione non ha certo bisogno di particolari presentazioni, si tratta di uno dei più importanti e imprescindibili esponenti di quella che sarà poi ribattezzata "commedia all'italiana".

Monicelli nasce nel 1915 a Roma, dove trascorre l'infanzia prima di trasferirsi in Toscana, a Viareggio, per frequentare le scuole medie e successivamente i primi anni di liceo per poi terminarlo a Milano, luogo in cui fa la conoscenza di suoi futuri colleghi come Riccardo Freda e Alberto Lattuada, insieme ai quali fonda anche il giornale Camminare, dove il giovane Monicelli scrive proprio di cinema. Chiuso il periodico perché bollato di comunismo dall'allora governo fascista, Monicelli torna in Toscana dove concretizza i suoi primi veri esperimenti cinematografici. Per vedere però il suo debutto ufficiale dietro la macchina da presa bisogna attendere l'inizio della prolifica intesa artistica con Stefano Vanzina, in arte Steno; insieme a lui, nel 1949 (dopo aver collaborato alla sceneggiatura di diversi altre pellicole di quegli anni), dirige Totò cerca casa. I due, tra il '49 e il '54 firmeranno ben 8 lungometraggi.

Inizia poi la carriera per così dire "solista" di Monicelli, che lo vedrà in 50 anni autore di numerosi film memorabili e immancabili per chiunque si voglia avvicinare allo studio della settima arte. Sorretto piuttosto spesso dal formidabile duo di sceneggiatori Age & Scarpelli (Agenore Incrocci e Furio Scarpelli), racconta l'Italia e l'italianità come pochi altri hanno mai saputo fare.
Se Fellini rappresenta la perfezione estetica, Risi tratteggia personaggi e storie a volte un po' stereotipate, e Scola è molto più sopra le righe nella sua messinscena, Monicelli è stato in grado di trovare la sintesi perfetta tra gli stili imperanti in quel periodo, realizzando opere di profondità sociale contemporanea totale. I film di Monicelli sono talmente realistici, i suoi personaggi sono talmente riconoscibili in qualcuno che si incontra ogni giorno, che riescono a farci pensare, anche solo per un momento, che quello che stiamo guardando possa essere reale, quando invece ovviamente non lo è; in sintesi, l'essenza stessa del cinema.
Attraverso la commedia di costume, Monicelli ha dipinto nei suoi film tutta una serie di affreschi popolari in cui tutti noi ci possiamo rispecchiare; in alcuni casi, ha scelto di utilizzare la sua comicità a volte surreale (ma mai demenziale e fuori contesto) e agrodolce per lanciare i suoi messaggi come ne I soliti ignoti (1959), La grande guerra (1959), Amici miei e Amici miei-Atto II (1975 e 1982), in altri ha deciso di buttarsi sul dramma sociale crudo e asciutto, tra i quali I compagni (1963) e Un borghese piccolo piccolo (1977).

Il film che intendiamo approfondire fa parte della produzione dell'ultima parte della carriera di Monicelli, ma ci accorgiamo che pure invecchiando, il regista toscano d'adozione non ha perso la sua malizia.
Si può sostenere che Parenti serpenti sia l'ultimo grande film di Monicelli, in cui è riuscito ad equilibrare le sue due anime (quella più sarcastica e quella decisamente più nichilista) in un meccanismo ad orologeria impeccabile.
La storia è molto semplice: due anziani accolgono a casa loro i quattro figli con le relative famiglie per trascorrere tutti insieme le festività natalizie. E' chiaro già sin dall'inizio che esistono delle ruggini tra fratelli, e che probabilmente nessuno vorrebbe trovarsi in quella casa. Troviamo situazioni molto comuni: la figlia Lina frustrata a causa di un lavoro, la bibliotecaria, e un matrimonio non appaganti; l'altra figlia femmina Milena depressa perché non riesce a rimanere incinta; il figlio Alessandro, apparentemente senza problemi, ma consapevole di avere una moglie che lo tradisce ripetutamente, e con una figlia obesa che vuole diventare soubrette; infine l'altro maschio Alfredo che non riesce, a più di 40 anni, a rivelare ai genitori la propria omosessualità.
Ma nonostante i rapporti non certo idilliaci tra i membri della famiglia, questi dovranno necessariamente fare fronte comune quando i due anziani genitori, nel bel mezzo del pranzo di Natale, faranno un annuncio che lascerà tutti sgomenti e atterriti.

Senza rivelare particolari della trama, possiamo dire che Monicelli qui fa uno dei suoi abituali spaccati sulla situazione italiana odierna, sbeffeggiando e irridendo tutti gli stilemi della classica e apparentemente indistruttibile famiglia, il cardine della società in cui viviamo. Per il regista non è altro che il perfetto nascondiglio di tutte le ipocrisie che caratterizzano la media borghesia, in cui alla fine è il tornaconto personale a farla unicamente da padrone. Non c'è quindi spazio, nella poetica monicelliana, per il tradizionale spirito natalizio, spazzato via dall'egoismo e dalla cattiva fede delle persone. Eccezionale in questo senso la scena della messa di mezzanotte, che si rivela essere, nel paesino del centro-sud Italia dove è ambientato il film, assimilabile a un ricevimento aristocratico, dove si sfoggia la propria ricchezza e posizione sociale; per poi essere subissati dalle malelingue della gente che sa tutto di tutti.
Se la prima parte del film gioca molto sul contrasto tra i momenti brillanti e le incursioni nel dramma familiare, la seconda parte vira decisamente verso la cupezza del noir. L'ironia viene quasi completamente eliminata, per mettere sotto la lente d'ingrandimento i lati più abietti dei componenti di questa famiglia, che a questo punto non hanno più motivo di fingere. Il finale nerissimo durante la serata di Capodanno è un pugno allo stomaco necessario, utile ad evidenziare una volta di più come Monicelli ne abbia per tutti e non si stanchi, a quasi 80 anni (la sua età all'epoca del film) a mettere alla berlina una façon de vivre in cui lui, così spontaneo e verace, mai avrebbe potuto riconoscersi.

In definitiva, vi facciamo nuovamente i più sentiti auguri e speriamo che tramite la visione di questo film possiate arrivare a comprendere l'importanza che può avere un gesto sincero di affetto rivolto a qualcuno a cui volete veramente bene, libero da qualsiasi ipocrisia e falsità. Che l'assenza totale del Natale in questo film possa farvi venire voglia di viverlo per davvero.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L.Mason