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giovedì 27 luglio 2017

IL BRIGANTE MUSOLINO: LA STORIA MALEDETTA DEL "RE DELL'ASPROMONTE"

                                          Il brigante Musolino, fonte: Wikipedia

Cari amici dello Sciacallo, ben ritrovati. Quest'oggi abbiamo deciso di parlarvi di una storia di tanto tempo fa. Una storia tragica, intrisa di emozioni di vendetta, giustizia e rassegnazione che, sotto alcuni aspetti, pare assomigliare al racconto del "Conte di Montecristo", di Alexandre Dumas, ma con una sola differenza: quella che ci apprestiamo a raccontarvi è una storia dannatamente vera.

La pima edizione del romanzo di Dumas è del 1846, mentre la storia di oggi comincia il 28 ottobre 1897 quando a Santo Stefano in Aspromonte, una tranquilla cittadina della provincia di Reggio Calabria, scoppia una rissa all'osteria della Frasca: da una parte c'è un giovane taglialegna di nome Giuseppe Musolino, detto Beppe, con suo cugino Antonio Filastò; dall'altra, invece, i prepotenti signorotti locali, i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali, più un loro compagno.

Il giorno dopo la rissa, in una stalla, qualcuno spara a Vincenzo Zoccali, che tuttavia riesce ad evitare la morte. Proprio in quella stalla viene ritrovato in seguito il berretto di Musolino e, successivamente, inizia la caccia dei carabinieri, che nel frattempo fermano Filastò e un certo Nicola Travia. Le guardie giungono così a casa di Musolino ma non lo trovano, perché é scappato: sei mesi più tardi verrà fermato e tradotto in carcere a Reggio Calabria. 

Il primo processo a suo carico ebbe inizio il 24 settembre del 1898, davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria: nonostante le innumerevoli prove portate da Musolino (in realtà il berretto Musolino lo aveva perso il giorno prima durante la fuga dopo la rissa), non furono smentite le testimonianze di falsi testimoni (Rocco Zoccali e Stefano Crea asserirono di averlo sentito adirato per aver fallito il bersaglio) e così, il 28 settembre, a 21 anni, entrò in carcere.

Proclamatosi innocente, davanti ai presenti, giura vendetta in caso di evasione e, sul motivetto della canzone del brigante Nino Martino, inizia a cantare alcuni versi in reggino che tradotte in italiano suonano ("N'ebbero allegrezza quel giorno quando i giurati condannato m'hanno ma se per caso al paese torno quegli occhi che risero piangeranno"). Dure le invettive nei confronti di Zoccoli, reo di averlo incastrato ingiustamente: "Ti mangerò letteralmente il fegato e venderò la tua carne come animali da macello!".

Viene condotto al carcere dell'odierna Locri (allora si chiamava Gerace Marina) ma, alle 3:30 del 9 gennaio del 1889, riesce a fuggire, insieme ai compagni di cella Giuseppe Surace, Antonio Filastò e Antonio Saraceno. Una leggenda locale vuole che Musolino riuscì a scappare sotto la guida di San Giuseppe che, in sogno, gli indicò dove doveva scavare. Ma si tratta solo di una leggenda, la verità, non la sapremo mai.

Una volta evaso, Musolino inizia a mettere in pratica la sua vendetta, commettendo una serie di omicidi contro le persone che lo avevano messo in questa situazione, nascondendosi nei boschi dell'Aspromonte (da qui il suo soprannome "il Re dell'Aspromonte"), arrivando persino a dormire nei cimiteri. Beppe Musolino gode dell'appoggio dei cittadini calabresi, che lo vedono come un simbolo delle ingiustizie subite contro la Calabria e il Sud (non dimentichiamoci la Questione Meridionale, che inzia proprio in quegli anni).

Inizia così la caccia al "brigante", anche se Musolino rifiutò sempre quell'appellativo: nei primi otto mesi di fuga compie cinque omicidi e quattro tentati omicidi, oltre al tentativo di distruggere la casa di Zoccali con la dinamite. Scattano una serie di tentativi di incastrarlo, ma nessuno di questi riesce ad andare a buon fine, e le gesta del brigante iniziano a diventare leggendarie, tanto che iniziano a occuparsi di lui anche quotidiani nazionali e stranieri, come il Times e Le Figaro.

Nel 1901, stremato e stanco di fuggire, decide di chiedere la grazia al nuovo re Vittorio Emanuele III, così lascia la Calabria e si mette in cammino ma nello stesso anno, ad Acqualagna (Pesaro Urbino), viene catturato per puro caso: per uno strano scherzo del destino infatti, Musolino vede due carabinieri e, pensando erroneamente di essere stato riconosciuto, comincia a scappare, inciampando tuttavia in un filo di ferro. Entrambi i carabinieri erano comandati dal brigadiere Antonio Matteo, padre del famoso Enrico. Divenne celebre la frase dell'ormai celebre brigante: "Quello che non potè un esercito, potè un filo".

A metà ottobre tutti i giornali rendono pubblica la sua cattura (si dice che il governo italiano abbia speso un milione di lire) e il 24 ottobre viene accompagnato al carcere di Catanzaro, in un treno speciale. Ne 1902 inizia un nuovo processo contro di lui, a Lucca: Musolino chiese, come riportato dal Corriere della Sera, di essere difeso dai migliori avvocati d'Italia perché come da lui stesso dichiarato, era un uomo storico e non un delinquente qualunque. Inoltre, pronuncia altre parole in sua difesa: "In caso di assoluzione il popolo sarà contento, in caso contrario, fareste una seconda ingiustizia. Inoltre, dovete sapere, che io non sono calabrese, perché ho sangue nobile, in quanto parente stretto di un principe di Francia". Nel processo si rese necessaria la presenza di un interprete, perché molti testimoni facevano fatica ad esprimersi in italiano coretto. Del resto, l'Italia era un paese giovanissimo, che per secoli era stato diviso in numerosi staterelli.

Viene condannato all'ergastolo al carcere di Pontolongone. Resta in carcere fino al 1946, dopodiché, una volta riconosciuta l'infermità mentale, fu trasferito al manicomio di Reggio Calabria, dove muore il 22 gennaio 1956. Una storia triste, che racconta un'Italia diversa da quella di oggi. Tuttavia, di storie come queste, ce ne sono tantissime. Musolino era un eroe o un brigante? A nostro modo di vedere era un semplice uomo, con i suoi pregi e i suoi difetti. Un uomo che si è fatto giustizia da solo, commettendo però, in questo modo, altri errori.

Di seguito, una delle tante canzoni in memoria del brigante: questa versione è del siciliano Orazio Strano, che  racconta nel dettaglio la sua storia. Su youtube si trova anche la voce vera del brigante. Vi invitiamo all'ascolto della canzone.


 

                                              Youtube, Alessandro Tripodi


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