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mercoledì 28 settembre 2016

LA STELLA A CINQUE PUNTE NON E' UN SIMBOLO SATANICO


                                 Fonte foto: Wikipedia


Si è detto e scritto tanto riguardo la stella a cinque punte. La teoria più gettonata associa questo simbolo alla figura di Lucifero, meglio conosciuto come Satana, l’angelo caduto per volere di Dio, che lo punì per la sua ribellione. Poi un giorno bisognerà pure spiegare chi era in realtà costui, perché molti “satanisti” in realtà si rivolgono al nulla. Ma questo è un altro discorso.

Tornando all’argomento in questione, dopo un'attenta ricerca, ci risulta che tale simbolo non ha nulla a che vedere col satanismo. Ve lo escludiamo nella maniera più assoluta. Il simbolo, in realtà, ha origine pitagorica, anzi, più correttamente, nasce da una antica tradizione egizia. Per gli Egizi, infatti, la stella a cinque punte raffigurava il Sole, Horus, nato dall’unione tra Iside e Osiride. In seguito, narra la leggenda, fu utilizzata dal matematico Pitagora (Samo 570- Metaponto 495 a.C). Era uno dei simboli preferiti dai pitagorici, ed era conosciuta con il nome di Ugeia o Ygia (la dea della salute), ed aveva anche un valore terapeutico.

C’è da fare una premessa: Pitagora fu iniziato ai misteri egizi e visse per un ventennio nei templi faraonici dove apprese molti segreti. Veniamo ora al significato di questo simbolo. Il 5 è un numero che risulta dall’addizione dei numeri 3 e 2, ovvero, numeri primi pari e dispari: quello pari rappresenta il principio femminile e quello dispari quello maschile. Dunque questi numeri rappresentano l’unione tra il maschile e il femminile, inoltre, cinque sono i viaggi che un uomo deve intraprendere durante la sua iniziazione e sono sempre cinque i sensi che deve studiare e conoscere. Il pentagramma rappresenta quindi le leggi armoniche, ed è strettamente legato alla sezione aurea (detta anche proporzione divina),rappresentata col numero d’oro, il cui valore numerico è 1.618 (il suo inverso è 0, 618). Entrambi i numeri sono applicati in natura in numerose circostanze. Il numero d’oro è un valore che esprime l’armonia e la perfezione, e si può trovare anche nell’arte. Tra l’altro, i segmenti del pentagramma non sono altro che una perfetta applicazione di questa proporzione.

I pitagorici utilizzavano il vocabolo “euritmia” per indicare le costruzioni architettoniche basate si questo numero d’oro. L’uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci (Rosacroce) e la proporzione delle piramidi di Giza, sono due chiari esempi della sua applicazione nell’arte e nell’architettura. Secondo Umberto Gorel Porciatti, massone di 33esimo grado, la stella a cinque punte indicherebbe anche la testa e le quattro estremità dell’uomo.

Niente a che vedere dunque col satanismo…

Mente libera, occhi aperti
                                               Lo Sciacallo, Marcus L. Mason










martedì 20 settembre 2016

QUANDO LA MUSICA E’ ARTE: "THE POWER OF EQUALITY" DEI RED HOT CHILI PEPPERS

 
                                         Fonte foto: Wikipedia

Dopo una lunga pausa ritorna l’appuntamento con la rubrica dedicata alla musica. L’ultima volta vi abbiamo spiegato il significato de “Il nostro caro angelo”, di Lucio Battisti. Quest’oggi, invece, abbiamo scelto un altro brano, “The Power Of Equality”, tratto da un album magnifico di una band straordinaria, i Red Hot Chili Peppers: l’album si intitola “Blood Sugar Sexy Magik”, ed è stato pubblicato nel 1991. L’album ha venduto circa 13 milioni di copie, permettendo al gruppo californiano di sfondare nel mainstream grazie a una serie di singoli di successo come Under The Bridge, Give It Away, Suck My Kiss e Breaking The Girl.

Prima di spendere qualche parola sull’album e di concentrarci sul singolo che abbiamo scelto, raccontiamo in breve la storia di questo gruppo. I Red Hot Chili Peppers, spesso abbreviati in RHCP o semplicemente in Red Hot, nascono a Los Angeles nel 1983. Caratterizzati da una forte componente funk che li rende subito riconoscibili anche ad un orecchio poco allenato, nel corso della loro lunga carriera hanno mescolato con successo generi come il rap, l’hard rock, il punk e l'heavy metal, arrivando negli ultimi tempi ad abbracciare un suono più melodico. Sono famose le loro performance dal vivo: dotati di grande tecnica, fatta eccezione per il cantante Anthony Kiedis (almeno per quanto riguarda le esibizioni dal vivo), ricorrono spesso all’improvvisazione.

Sin dalla fondazione sono presente Anthony Kiedis alla voce e il fenomenale bassista Michael Balzary, meglio noto come Flea, famoso per la sua tecnica dello slap. In origine completavano la formazione il chitarrista Hillel Slovak (deceduto per overdose si eroina nel 1988) e il batterista Jack Irons. Successivamente, con Mother’s Milk, del 1989, entrano nella formazione il chitarrista di origini beneventane, John Frusciante e il batterista Chad Smith. Proprio per le pressioni generate dal successo di Blood Sugar Sexy Magik, e probabilmente unite ai problemi personali con le droghe, Frusciante lascerà dapprima il gruppo per poi rientrare successivamente con Californication, salvo poi abbandonare definitivamente (ora il suo posto è stato preso da Josh Klinghoffer.

Passiamo ora all’album. Blood Sugar Sexy Magik è un continuo di riferimenti sessuali (Suck My Kiss, Give It Away, Funky Monks), sulla droga (Under The Bridge), ma anche alla politica. Ne è un esempio “Power of Equality”, dove Anthony Kiedis si scaglia contro i politici e la falsa democrazia americana, reclamando un mondo più giusto, basato su ideali di vera uguaglianza e fratellanza tra gli uomini. Di seguito la canzone con il testo tradotto. Noi come sempre vi suggeriamo l'ascolto dell'intero album.  Buon ascolto.



       
                                        Youtube, Dave Adams

Il Potere Dell’Uguaglianza
Io ho un’anima
che non riesce a dormire
quando di notte qualcosa
gira storto
rosso intenso
ma senza vista
ego esplosi
nella notte
a caso come candelotti
di dinamite
rossi neri o bianchi
è la mia lotta
fatti coraggio
fatti sentire
traduci i sentimenti in parole
l’uguaglianza americana
è sempre stata acida
un atteggiamento
che farei a pezzi
pace è il mio nome
questo è il mio momento
posso prendermi un po’ di potere?
Il potere dell’uguaglianza
Non è ancora come dovrebbe essere
Mi riempie come un tronco cavo
Il potere dell’uguaglianza
giusta o sbagliata
la mia canzone è forte
se non ti piace
passa oltre
dico quel che voglio
faccio quel che posso
morte al messaggio
del Ku Klux Klan
non compro supremazia
padroni dei media
mi minacciate
dite che la gente
è causa di tutti i mali
svegliatevi bastardi
annusate il fango
la rabbia piu’ nera
la paura piu’ bianca
mi sentite?
sono chiaro?
pace è il mio nome
questo è il mio momento
posso prendermi
un po’ di potere?
RIT.
ho nastri
ho CD
ho i miei Public Enemy
il mio culetto pallido
si diverte un sacco
quando ascolto musica
che mi fa pensare
nient’altro che a
politici bastardi
che non fanno niente ma solo qualcosa
per la propria ambizione
non toccate mai
il suono che produciamo
sacro spirito dell’amore
i voti che prendiamo
per creare subito
ciò che è vero
ehi,lui è con me
e con quel che faccio
pace è il mio nome
questo è il mio momento
posso prendermi un po’ di potere?
RIT.
più folle di un bastardo
mi lecco le dita
non dimentico
perché la memoria vaga
le conto velocemente
ho un po’ di nausea da Piccadilly
riportami in provincia
distruggi la mia ottusità
porto il marchio
del bigotto
gioco la mano
che mi è stata data
e sono alle prese
con una stretta mortale
a donar sangue
solo x sopravvivere
trattami male
e io m’incazzo
no, non posso accettarlo
gente che soffre
non la sopporto
cambio idea mister bigotto
fratellino ascolta
ti prego vieni qui vicino a me
la miseria non è mia amica
ma mi spezzerò prima di piegarmi
quel che vedo è follia
che cosa è successo all’umanità?


Mente libera, occhi aperti
                                               Lo Sciacallo, Marcus L.Mason

sabato 10 settembre 2016

"L'IMPERO DEI SENSI" DI NAGISA OSHIMA: IL SESSO PERVERSO ALLEGORIA DEL GIAPPONE


fonte: asterischi.it

Cari lettori, siamo tornati per dedicarci nuovamente al cinema, tra le forme d'arte che lo Sciacallo apprezza maggiormente. Quella che vogliamo consigliarvi quest'oggi è una pellicola molto particolare, una vera e propria pietra miliare del suo genere: si tratta de L'impero dei sensi, inizialmente distribuito come Ecco l'impero dei sensi, del 1976, diretto da Nagisa Oshima.

Siamo grandi ammiratori del cinema orientale (consigliammo qualche tempo fa lo splendido Memories of Murder di Bong Joon-ho: http://sciacallo2.blogspot.it/2016/05/memories-of-murder-di-bong-joon-ho.html), e nello specifico delle pellicole del paese del Sol Levante, il Giappone. Indiscutibilmente, Nagisa Oshima è uno dei più importanti rappresentanti del cinema nipponico classico, accanto a mostri sacri come Akira Kurosawa (di cui presto parleremo) o Yasujiro Ozu, oltre ad essere il più visionario e anti-conformista.

Oshima nasce nel 1932 a Kyoto; dopo la lauree in diritto e scienze politiche, cambia completamente il suo percorso di vita e si avvicina al cinema, lavorando come aiuto-regista per la casa di produzione Shochiku, parallelamente all'attività di critico cinematografico, che prosegue fino al 1959, quando esordisce dietro la macchina da presa con il poco visto e poco apprezzato Il quartiere dell'amore e della speranza. Ma è un insuccesso passeggero, poichè i successivi tre film sono delle tappe fondamentali della nuova ondata, o new wave, del cinema nipponico, caratterizzati da forti componenti di critica politica e sociale, in anni in cui il Giappone era preda di tutta una serie di tumulti volti a protestare contro una nazione ancora troppo attaccata a valori ormai superati, e poco propensa ad aprirsi alle novità della seconda metà del Novecento. I film, tutti grandi successi di pubblico e critica sono Racconto crudele della giovinezza, Il cimitero del sole, e Notte e nebbia del Giappone, tutti e tre usciti nel 1960. Non possiamo non citare anche il magnifico L'impiccagione del 1968, pellicola dai chiari rimandi al teatro dell'assurdo europeo, e per finire, il film forse più famoso e conosciuto di Oshima, Furyo, vincitore della Palma d'Oro a Cannes nel 1983, interpretato da David Bowie, dal celebre musicista Ryuichi Sakamoto (autore anche della bellissima colonna sonora) e da un giovane e ancora misconosciuto Takeshi Kitano.

Dopo questa doverosa introduzione sull'autore, concentriamoci su L'impero dei sensi. Oshima decide di raccontare la storia del rapporto sempre più intenso che si instaura tra il padrone Kitzi e la sua cameriera Abe Sada. Essi vengono travolti da un'inarrestabile passione sessuale che li porterà a sperimentare le posizioni e i giochi erotici più estremi, nel tentativo, sempre più difficile, di raggiungere il piacere totale, una sorta di nirvana sessuale. Iniziano quindi a trascorrere intere giornate a letto, quasi senza interruzioni, sotto gli sguardi sempre più attoniti ed esterrefatti delle geishe della casa e della stessa moglie di Kitzi. La continua ricerca del godimento assoluto da parte dei protagonisti li porterà ad un finale catartico e simbolista a dir poco agghiacciante.

E' importante far notare che Oshima si è ispirato ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1936 in Giappone, utilizzandolo tuttavia come perfetto strumento di allegoria sociale per evidenziare l'alienazione dell'intera società giapponese, che vive ed esiste solo all'interno dei suoi confini, esattamente come la vita dei due protagonisti (non) si sviluppa solo all'interno delle quattro mura della camera da letto, sottolineando una chiara incomunicabilità con il mondo esterno.
Per fare questo Oshima non si fa problemi a spingere parecchio sulla rappresentazione del sesso più sadomasochistico, con una regia sempre più morbosa e quasi voyeuristica, man mano che Kitzi e Abe si addentrano tra le spire della passione malata che li possiede. Chiaramente, i due attori, Tatsuya Fuji (che tornerà anche nel successivo, ma molto inferiore, L'impero della passione) ed Eiko Matsuda recitano completamente nudi per gran parte della pellicola, con parti intime ben in vista.
Nelle interviste che ha rilasciato sul film, Oshima ha dichiarato che se la produzione gli avesse impedito di inserire le scene di sesso esplicito e di fellatio che sono presenti nel film, lui si sarebbe rifiutato di girarlo, poiché le considerava parte integrante, anzi indispensabile per poter veicolare il suo messaggio.
In effetti, il film è perfettamente inserito nella poetica oshimiana, fortemente simbolista e crudele verso i suoi personaggi, di cui sceglie sempre di raccontare i lati più perversi e reconditi, mostrando come essi vengono repressi (l'esempio chiave è Furyo) o come essi esplodano, ne L'impero dei sensi.

In definitiva, solo un genio come Oshima poteva realizzare un film estremamente politico all'interno del genere erotico/porno, ambientato praticamente in una sola stanza o poco più. Inutile dire che la censura italiana lo ha tagliato nei punti più espliciti in maniera vergognosa; ora è tuttavia in circolazione un DVD con la versione integrale sottotitolata nelle (molte) parti tagliate.
Un capolavoro assolutamente da riscoprire quindi, per tutti quelli che pensano che il cinema erotico sia solo spazzatura e non abbia mai nulla da dire, o più semplicemente per quella miriade di persone (visti gli incassi) che è convinta che Cinquanta sfumature di grigio sia un film spinto sessualmente. E' ovvio che non conoscono Nagisa Oshima.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L.Mason

sabato 3 settembre 2016

"JE NE SUIS PAS CHARLIE": LA SOTTILE LINEA TRA SATIRA E CATTIVO GUSTO


Alcune delle vignette incriminate
fonte: ansa.it

Cari lettori, oggi lo Sciacallo vuole dire la propria in merito ad una polemica scoppiata negli ultimi giorni a causa di alcune vignette comparse sul celebre settimanale satirico illustrato francese Charlie Hebdo riguardanti la tragica vicenda del terremoto nel Centro-Italia. Se non sapete di cosa stiamo parlando, alcune delle immagini in questione sono quelle riportate all'inizio del nostro pezzo. Liberi di favi la vostra idea.

Tutti ci ricordiamo cosa è accaduto il 7 gennaio del 2015 a Parigi: due uomini appartenenti ad una cellula terroristica jihadista, i fratelli franco-algerini Said e Chérif Kouachi irrompono nelle sede di Charlie Hebdo e aprono il fuoco sulla redazione: alla fine, le vittime tra giornalisti, addetti alla sorveglianza e forze dell'ordine saranno 12, i feriti 11. Chiaramente, tutto il mondo occidentale in men che non si dica si indigna e inorridisce di fronte ad un'azione tanto terrificante, inneggiando alla libertà di stampa e di opinione, unica arma per combattere l'oscurantismo del fondamentalismo islamico. Impazza sulla rete nel giro di pochissime ore l'hashtag #jesuischarlie. Questo blog all'epoca dei fatti non era ancora nato, ma se fossimo stati già presenti sul web ci saremmo chiaramente uniti al cordoglio dei familiari di tutti coloro che quella mattina hanno perso la vita così tragicamente.

Detto questo, Charlie Hebdo viene colpito non a caso: è scelto per le vignette dissacranti sull'Islam che ormai da molti anni proponeva sulle sue pagine. Se volete cercatele, ci permettiamo di affermare che alcune di esse possono tranquillamente essere catalogate nel cattivo gusto e nell'eccessivo, per quanto questa sia da sempre, fin dalla sua fondazione, stata la linea editoriale scelta da Charlie. Lungi da noi sostenere che la rivista in questione si sia meritata o "andata a cercare" il devastante dramma che ha subìto, ma azzardiamo che qualche scrupolo in più era forse logico porselo.
In primo luogo, è nostra opinione, e nessuno ci smuoverà mai da qui, che ridicolizzare un culto religioso sia estremamente irrispettoso nei confronti di tutte quelle persone che possiedono una fede vera, tangibile, posta al centro della loro esistenza. Si tratti di cattolicesimo, buddismo o Islam non cambia; è chiaro però che quest'ultimo è al centro della discussione. Vogliamo ricordare ancora una volta che la nostra società è ricolma di persone di fede maomettana assolutamente perbene, perfettamente integrate nel tessuto sociale e che professano il loro culto nel totale rispetto di quello degli altri, portando avanti i propri usi e le proprie tradizioni senza però ostentarle né imporle a chicchessia. Alcune delle vignette dette "satiriche" di Charlie Hebdo pubblicate negli anni precedenti all'attentato non hanno avuto altro effetto se non quello di intensificare sempre di più l'odio, la diffidenza e la paura, tutte cose che, credeteci, non ci fanno bene. Oltre ad emarginare e a bollare come sospetti tutti quegli individui di cui sopra, totalmente privi di qualsiasi colpa.

Questo lungo preambolo era indispensabile per poter poi arrivare all'argomento principale del nostro articolo. Le vignette di Charlie Hebdo sul terremoto del Lazio sono vergognose nella forma e superficiali e qualunquiste nella sostanza.
E' superfluo sottolineare come sia indecoroso pensare di poter fare dell'umorismo da quattro soldi marciando su una tragedia che ha ucciso quasi 300 persone e ne ha lasciate altrettante in una condizione drammatica, senza una casa e in mezzo alla strada. Ci sorprende che questo colpo basso arrivi da qualcuno che ha sperimentato sulla propria "pelle" il terrore vero, lo sconcerto, l'orrore; che queste persone non siano in grado di empatizzare con le vittime di una catastrofe che, almeno teoricamente, non dovrebbe avere nazionalità o bandiera, se non quella della comprensione umana, che ci accorgiamo amaramente, non appartiene a tutti.

Ma se la forma, come dicevamo, è agghiacciante, i contenuti sono di una povertà intellettuale ancora più sorprendente. I redattori di Charlie Hebdo si sono difesi dal naturale sdegno suscitato dalla prima ondata di vignette sul terremoto (quelle della pasta al pomodoro e delle lasagne, per capirci) sostenendo che non è certo colpa di Charlie se le case degli italiani sono costruite dalla mafia.
Questa ridicola affermazione conferma ancora una volta la totale disinformazione propugnata da questa testata giornalistica, che butta nello stesso calderone due temi assolutamente distinti come le speculazioni edilizie della mafia (che esistono, purtroppo, inutile negarlo) e il terremoto. Le case che sono crollate facevano parte di borghi storici, spesso di fondazione medievale, costruiti in zone particolari e difficoltose come le colline laziali, mai completamente al sicuro da fenomeni naturali di questo genere. Qui la mafia non c'entra nulla, Charlie Hebdo se ne faccia una ragione. E il nostro non vuole in nessun modo essere un discorso di puro orgoglio nazionale demagogico e populista, la prima parte dell'articolo lo dovrebbe dimostrare.

Lungi da noi essere bigotti o arretrati (chi ci segue lo sa), riteniamo che la satira sia un ottimo strumento di critica sociale quando è utilizzata con arguzia e intelligenza, quando è in grado di evidenziare un difetto, un problema o un atteggiamento sbagliato, strappando un sorriso ma facendo riflettere. Purtroppo ci rendiamo conto che Charlie Hebdo si ritrova troppo spesso a farla fuori dal vaso, abusando di una tecnica che si può facilmente trasformare in un'arma a doppio taglio, poiché, per quanto efficace, la satira ci mette davvero poco a tramutarsi in cattivo gusto, in un cinismo talmente viscido da risultare indigeribile e insopportabile. Ci sono cose su cui, sul serio, non si può scherzare. Ci viene da dire, questa volta, je ne suis pas Charlie.
Ancora una volta, ci auguriamo che la popolazione terremotata possa al più presto ritrovare la serenità e tornare a condurre una vita normale, nel limite del possibile.

Mente libera, occhi aperti
                                           Lo Sciacallo, Marcus L.Mason