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giovedì 14 gennaio 2016

I REALITY SHOW E LA TV SPAZZATURA: QUANTO CI MANCA PASOLINI...


                                          Fonte foto: wikipedia

Vi siete mai chesti il motivo della nascita e della diffusione dei vari reality, per lo più demenziali? Che si chiamino Grande Fratello, Isola dei Famosi, o che abbiano come obiettivo principale la formazione di artisti o cuochi, la solfa non cambia: sono tutti creati a tavolino per distruggere il nostro modo di pensare e creare una generazione di schiavi e lobotomizzati. Tutti, senza eccezione di un singolo individuo, ne siamo permeati. A patto di accendere la televisione, naturalmente.

"Niente di più feroce della banalissima televisione", diceva Pier Paolo Pasolini in tempi non sospetti. E il poeta bolognese ci aveva visto lungo.  Sono tanti gli scopi di chi organizza questo genere di spettacoli: il primo è sicuramente quello di rendere le generazioni sempre più omologate. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, basti pensare ai giovani. Ne basta prendere uno per capire i sogni e le speranze di una intera generazione. Non esiste più alcuna distinzione, sembrano fatti tutti con lo stampino, proprio come i protagonisti dei reality. Del resto la televisione e la società, in tutte le sue forme, ci impongono dei modelli comportamentali e, se non hai abbastanza spirito critico e una forte autodeterminazione, il risultato è quello di finire nel trappolone.

Dov'è finita la generazione del '68? Quella che pensava ed agiva in nome di un ideale (dov'è finito non si sa, cantava l'immenso Giorgio Gaber in Destra e Sinistra), voltando le spalle al potere costituito e diventando liberi pensatori. Quella generazione, purtroppo, è morta: la diffusione delle droghe pesanti su larga scala ha annientato il pericolo, per i potenti, e rese innocue le persone. Ecco, le nuove generazioni peccano di iniziativa, non hanno una direzione né uno scopo definito nella propria vita. Si è smarrita la strada, non c'è più la volontà di cambiare le cose. Ma la televisione serve anche per depistare, mandare messaggi particolari, o distogliere l'attenzione delle masse dai problemi reali.

Non si pensa più al benessere personale e a quello degli altri, a ritagliarci il nostro tempo per meditare e riflettere. Già, il tempo, un fedele alleato che però ci viene sottratto in nome di un capitalismo spietato che ci rende consumatori depensanti. Del resto, l'assioma è perfetto: chi non pensa diventa schiavo e, in senso lato, consumatore. La stessa formula è valida per descrivere il meccanismo che c'è dietro a questi programmi che definire insensati è puro eufemismo. I ragazzi devono vestirsi e imbacuccarsi come i ragazzi dei vari Shore, e comportarsi come loro. È trendy ed è accettato da tutti. Non c'è spazio per l'antidivo, per gente che persegue l'essere. Non c'è spazio per le persone che hanno progetti. Si vive sempre e solo il presente, infischiandocene di come sarà la società tra dieci anni.

In tv l'ordine è di non trasmettere programmi di cultura, quella vera, né film né l'arte in genere, ma solo spazzatura. Per non parlare poi del viscido mondo delle radio e del cinema, un capitolo che affronteremo nei prossimi giorni. I telespettatori devono sognare di passare anche loro il provino per i vari reality musicali, e di diventare delle star. Ta l'altro, ignorano, che questa moda è nata da un'iniziativa delle stesse case discografiche che, non vendendo più, hanno trovato un altro modo per accumulare denaro.

E qual è il premio alla fine dei giochi? La Coppa del Nonno. E sapete per quale motivo? Perché una volta insignito il vincitore, il format del programma necessita di nuovi reclutamenti tra i giovani ansiosi di realizzare i propri sogni. Tutte vittime inconsapevoli del gioco di potere orchestrato alle loro spalle da gente senza alcun tipo di scrupolo e morale. Loro, i "marionettisti", ci vogliono tutti uguali. Tutti pronti a inseguire un sogno che alla fine si rivelerà illusorio: chi guarda queste oscenità  deve pensare di diventare come X e che solo tramite questo espediente potrà raggiungere il successo, come se quella parola avesse un valore inoppugnabile, specialmente al giorno d'oggi. Non siamo noi a decidere cosa fare della nostra vita, ma loro, sempre e comunque. Loro decidono il nostro futuro e noi dobbiamo stare al gioco del mago.

E sapete chi ci perde in tutto questo? Tutte le persone che lottano, e sono poche, realmente con ogni forza per cercare di dare valore alla propria esistenza e migliorare quella degli altri. Nell'arte ne escono sconfitti gli artisti, quelli veri: nel cinema gli attori e i registi che per anni hanno speso il loro tempo nelle scuole di recitazione, così come nella musica le numerosissime band sparse nella Penisola, che provano a campare cercando di racimolare qualche spicciolo suonando in qualche locale, ma solo per passione perché non possono trasformare la loro arte in lavoro. Per di più, magari di fronte a poche centinaia di persone, per poi ritrovarsi ad ascoltare in radio "artisti" che non fanno altro che insultare la musica e la sua storia. Un'ingiustizia senza fine, che solo noi possiamo fermare, attraverso le nostre scelte.

Mente libera, occhi aperti   
                                                       Lo Sciacallo, Marcus L.Mason







DAL NEOREALISMO A "QUO VADO?": 70 ANNI DI CINEMA ITALIANO IN 5 MINUTI


Una locandina de "La Dolce Vita" di Federico Fellini (1960)
fonte:jean-pierre dalbéra da flickr.com

E' notizia di questi giorni che in sala c'è un film, per di più italiano, che sta facendo letteralmente
strage al botteghino: si tratta della quarta fatica cinematografica di Luca Medici, in arte Checco Zalone, ovvero "Quo Vado?". Nel momento in cui si scrive questo film è appena diventato il maggior incasso di un film nostrano di sempre, superando "Sole a catinelle" del 2013, anch'esso interpretato da Checco Zalone (la regia in entrambi i casi è di Gennaro Nunziante).
L'intenzione di chi scrive non è quella di dimostrarsi "radical chic" buttando fango sul film di Zalone, definendolo a prescindere spazzatura cinematografica e attribuendo all'ignoranza della gente il suo immane successo. Cerchiamo invece di comprendere davvero perché tutto ciò accade, perché il discorso è in realtà decisamente più complesso.
L'origine del fenomeno Zalone non è da ricercarsi né all'interno del personaggio stesso (non fosse stato lui, sarebbe stato qualcun altro), né tantomeno nelle tematiche che la sua filmografia propone; nello specifico, una visione semi-satirica della società italiana, con impianto morale di fondo di chiara tendenza forzaitalina (e non c'è da soprendersi, visto che i suoi film sono prodotti e distribuiti da Medusa).

Sono i tempi che dettano la moda, e cioè: i film di Zalone sono perfettamente aderenti alla realtà storica che ci circonda: una realtà fatta di problemi sociali ed economici preponderanti, dove l'uomo medio deve destreggiarsi tra la propria precarietà e l'aggiornamento del profilo di Facebook; che non trova lavoro ma che considera come valore fondamentale il possesso di uno Smartphone, possibilmente dell'ultimissimo modello, capace magari di girare video tridimensionali (probabilmente si arriverà anche a questo). Culturalmente, artisiticamente, c'è, ed è triste doverlo ammettere, il vuoto pneumatico. La cultura, intesa in senso lato, è superflua, noiosa, vittima dei vari "non ho tempo", "non ho la testa per queste cose", "a che mi serve?". Anche comprensibile, ad un'occhiata superficiale. Ma finché non si arriverà a capire che parte tutto dalla testa, parte tutto dal raggiungimento della consapevolezza di sé come individuo, e di conseguenza, dalla volontà di arricchire lo spirito in maniera intelligente, mai si riuscirà a lottare con convinzione per i propri diritti e per ottenere il cambiamento di una società opprimente e dispersiva. Tutto ciò è fattibile solo tramite la cultura, o meglio l'anti-ignoranza. In questo il cinema di Zalone è fallace; oltre all'aspetto cinematografico, ai minimi termini, è nell'ideologia che perde una grande occasione; quella di dimostrare che così non va, che bisogna cambiare noi per primi, e non solo sorridere dei nostri difetti e delle nostre debolezze, rendendoli così addirittura simpatici.

La storia del cinema italiano, dagli anni Quaranta in poi, racconta che questa regola è sempre stata rispettata. Il cinema ha sempre vissuto di presente, perché è l'arte che, se sfruttata a dovere, più di tutte riesce a catalizzare l'attenzione delle masse e farle immedesimare con i personaggi che presenta.
A metà anni Quaranta nasce la prima grande corrente del cinema nostrano, il Neorealismo, che annovera tra i suoi esponenti alcuni degli autori di cinema più autorevoli: da Luchino Visconti (al quale si attribuisce l'invenzione del Neorealismo, con il film Ossessione del 1943), a Vittorio De Sica, il cui nome è stato sporcato dall'immonda serie di film a cui si è prestato il figlio Christian, per poi passare ai magari meno conosciuti ma altrettanto importanti Giuseppe De Santis e Raffaello Matarazzo.
Allora dopo vent'anni di regime fascista e le atrocità della guerra, si sentiva il bisogno di raccontare le vicende della gente vera, quella della strada, la quotidianità, i drammi all'ordine del giorno, le problematiche sociali. Questo è una delle ragioni per le quali molto spesso si preferiva utilizzare attori non professionisti, per donare al tutto un'aura di spontaneità e di concretezza disarmanti; basti citare due capisaldi di De Sica, Ladri di Biciclette (1948), e Umberto D. (1952). La ricerca della rappresentazione pura del reale era talmente esasperata che, si racconta, lo stesso De Sica arrivò a mettere di proposito, nella tasca di un giaccone indossato da un bambino in una scena, un mozzicone di sigaretta accesa, cosicché il bambino, che doveva piangere, lo avrebbe fatto per un reale motivo, una volta messe le mani in tasca.

Negli anni Sessanta, quelli del Boom economico, il cinema godereccio di Fellini, le commedie ficcanti di Scola, Risi e Monicelli erano perfette nel delineare una società italiana che sempre più si spostava verso una deriva capitalista. Uno stile di vita edonista, ben rappresentato da pellicole storiche come La Dolce Vita, Il Sorpasso o I Mostri.

Poi fu la volta degli Anni di Piombo, gli anni del terrore, degli attentati terroristici, l'uccisione reiterata di esponenti dello Stato (il culmine fu il caso Moro, nel 1978, di cui ci ripromettiamo di parlare). Gli anni Settanta fecero risvegliare gli italiani dal torpore e dagli agi a cui si erano ormai incautamente abituati. E il cinema italiano fu pronto a raccontare questa nuova faccia del nostro Paese, e lo fece attraverso il genere. Nacquero così il cosiddetto "giallo all'italiana" (che in realtà già aveva mosso i primi passi verso la metà del decennio precedente), e il noir "poliziottesco", abili nel mostrare come i criminali, solitamente di bassa lega, e il poliziotto senza macchia, fossero i caratteri perfetti per sintetizzare ciò di cui la gente aveva paura e ciò in cui si affidava. I maestri indiscussi: Mario Bava, Lucio Fulci, Dario Argento, Umberto Lenzi, Fernando di Leo. Di alcuni di loro parleremo più approfonditamente in articoli successivi.

Degli anni Ottanta tratteremo in altra sede, perché segnano lo spartiacque: allora emette i primi vagiti la mentalità iperconsumista, becera, e all'insegna dell'anti-cultura, che negli anni si è purtroppo diffusa a macchia d'olio come un cancro inarrestabile, e che oggi impera. Ne vedremo le caratteristiche nel dettaglio.

Ecco dunque perché Zalone è all'apice. E' il figlio prediletto di un cinema malato. I suoi genitori? I Vanzina, Neri Parenti. I figli ripudiati: Giorgio Diritti, Ivano De Matteo, Claudio Caligari, Paolo Franchi, Federico Sfascia, solo per citarne alcuni. Molti di voi non li conoscono nemmeno, non è così?

Mente libera e occhi aperti
                                                    Lo Sciacallo, Marcus L.Mason