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mercoledì 8 giugno 2016

ELEZIONI COMUNALI 2016: LO SPECCHIO DI UN'ITALIA RASSEGNATA, SENZA PIU' IDEOLOGIE E STUFA DI RENZI


fonte: ilquaderno.it

Cari lettori, da bravi italiani vogliamo oggi proporre brevemente il nostro punto di vista riguardo alle elezioni comunali tenutesi nell'ultimo weekend.

I dati emersi dalla consultazione elettorale sono assai interessanti: la prima conclusione che inevitabilmente si può trarre è la clamorosa debacle del PD del premier Matteo Renzi. Lo vedremo più nel dettaglio analizzando le situazioni delle singole città, ma il sentimento di astio da parte del popolo italiano nei confronti dell'ex sindaco di Firenze è in chiara ascesa. Sarà che la crisi economica non accenna a placarsi (ricordiamo le parole di Renzi di qualche tempo fa durante un discorso ai dipendenti di Alitalia: "Allacciate le cinture, l'Italia prende il volo"), sarà che il lavoro continua a scarseggiare, sarà che le pensioni sono sempre al minimo storico con poveri anziani costretti a mangiare alla Caritas o a tornare a lavorare al mercato, il progetto portato avanti sinora dal governo Renzi non convince più tantissimi italiani. Lo stesso Presidente del Consiglio ha confermato ieri, in conferenza stampa, di non essere per nulla soddisfatto dei risultati delle comunali. Sinceramente non vediamo come avrebbe potuto esserlo.

Sorride un po' di più il Movimento Cinque Stelle, anche se il suo attecchimento a livello nazionale si dimostra una volta di più ondivago e irregolare. Se in alcune città come Roma e Torino i risultati si sono rivelati a dir poco sorprendenti, in altri importanti centri come Milano o Napoli i grillini sono pressoché inesistenti o in ogni caso insignificanti come consensi sul territorio.

Infine, il centro destra: Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d'Italia, che propongono gli spunti più stuzzicanti. E' inevitabile notare come i dissidi interni alle forze politiche sopracitate riguardo la condotta da adottare in alcune città si siano rivelate in quei casi deleterie. Quando i tre partiti, consensualmente concentrano il proprio sostegno su un unico candidato, l'esito positivo è innegabile (basti pensare a Milano); viceversa, nel momento in cui si litiga, neanche fossimo "all'asilo mariuccia", la beffa è dietro l'angolo, incarnata dalla figura di Giorgia Meloni, candidata sindaco a Roma sostenuta da Salvini ma non da Berlusconi, che manca il ballottaggio per soli due punti percentuali. Niente via Almirante, dunque. I nostalgici del Movimento Sociale Italiano se ne facciano una ragione.

Concentriamoci allora sulla situazione della Capitale, dove inaspettatamente il primo partito è il Movimento Cinque Stelle, rappresentato dalla sua giovane candidata Virginia Raggi, che ottiene il 35,2%, staccando di più di dieci punti Roberto Giachetti del PD, col quale andrà al ballottaggio, fermatosi al 24,9%.
Ovviamente la Raggi si è subito premurata di annunciare, con entusiasmo quasi adolescenziale (sic!), che rischia di essere il primo sindaco donna di Roma. Da far accapponare la pelle, davvero.
Se in questi ultimi giorni vi siete fermati a dare un'occhiata a uno dei numerosi talk-show tenutisi sull'argomento, vi sarete accorti delle allucinanti risposte date dai cittadini romani alla domanda sul motivo che li ha spinti a sostenere la Raggi. Nessuno, e dico nessuno, che abbia fatto un accenno al programma della candidata pentastellata. La frase comune suona più o meno così: "L'abbiamo votata perché abbiamo provato prima il centrodestra (Alemanno) poi il centrosinistra (Marino): questa è una faccia nuova".
La "questione romana" è lo specchio dello scenario politico che ci si presenta davanti: qualcosa di totalmente amorfo, dove nessuno riesce più ad individuare un'ideologia da appoggiare, in cui credere e per cui lottare. Si vota (chi vota) il meno peggio; una faccia "nuova", possibilmente giovane, magari carina come la Raggi, incrociando le dita e sperando nella Provvidenza. Nulla di personale contro Virginia Raggi, davvero, ma non riusciamo a riconoscere in lei, e più in generale nel M5S, un'ideologia concreta che vada oltre la contestazione ad oltranza e una agognata anarchia da gestire poi non si sa come. Se il M5S governerà Roma, vedremo di che pasta sarà fatto.

Lo stesso identico discorso vale per Torino, dove la candidata grillina Chiara Appendino riesce nell'impresa di portare al ballottaggio un totem come Piero Fassino, a cui non basta superare il 40% dei consensi per riconfermarsi sindaco. La Appendino promette una ventata di aria fresca, di gioventù, ma in concreto davvero poco altro. Ciò basta però per infliggere un altro duro colpo a Renzi in una delle roccaforti della sinistra, dove ebbero luogo, sul finire del XIX secolo le prime grandi lotte operaie italiane (consigliamo a tal proposito il film I compagni, del 1963, diretto da Mario Monicelli). Ma tant'è: in effetti, dov'è la sinistra in Italia? Se qualcuno la trova o ne scova anche solo delle briciole, ce lo faccia sapere. Vediamo un po' di destra estrema, movimenti di forte protesta portati avanti da ex comici e l'evoluzione naturale della vecchia Democrazia Cristiana. Nulla più.
Per concludere, a Torino la destra, presentatasi divisa, sprofonda nell'anonimato.

Una inattaccabile conferma sull'invisibilità dell'ideologia marxista in Italia è fornita dal risultato di Bologna, la città rossa per antonomasia. Nemmeno qui Renzi può dormire sonni tranquilli. Il suo uomo, Virginio Merola, riesce nell'impresa di andare al ballottaggio con una candidata di centrodestra (qui ben coalizzato, e infatti...) e per di più, ebbene sì, della Lega Nord, Lucia Borgonzoni, di cui vi consigliamo di ascoltare alcuni discorsi per afferrare appieno di che mente sopraffina si tratti.
Ma molti bolognesi, il 22%, non pochi, si affidano a lei pur di staccarsi dall'ala protettrice renziana. Siamo sinceri, molto probabilmente alla fine Merola avrà la meglio: ma la batosta, per la pseudo-sinistra felsinea, consiste nel fatto che il 60% dell'elettorato non l'ha appoggiata domenica scorsa.

E poi, l'altro grande oggetto del contendere: la poltrona di Palazzo Marino, a Milano. Lo smacco più grande per il PD è quello di aver visto il suo uomo di punta, il grande manager dell'Expo Giuseppe "Beppe" Sala, che doveva vincere a mani basse, di fatto pareggiare contro il candidato di tutto il centrodestra, il fondatore di CHILI, Stefano Parisi, nativo di Roma e trapiantato a Milano.
La differenza tra i due è minima, di circa 5000 voti, e si preannuncia un ballottaggio all'ultima scheda. Evidentemente qualcuno si deve essere ricordato della disastrosa (checché ne dica la propaganda renziana) Expo di Sala, dal punto di vista organizzativo ed economico (date un'occhiata a questo articolo per qualche approfondimento: http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2016/01/expo-primo-bilancio-un-disastro-epocale.html).

Ma seppur deludenti, i risultati di queste città non raggiungono il disastro totale di Napoli, dove la candidata del PD, Valeria Valente, non andrà nemmeno al ballottaggio, letteralmente surclassata dal sindaco uscente Luigi de Magistris, che col 42% pare in ogni caso prossimo a mantenere il suo incarico. A contenderglielo sarà la proposta del centrodestra, Gianni Lettieri, che già ci aveva provato cinque anni fa.

A conti fatti, questo primo turno di comunali non fa che confermare la rassegnazione della popolazione italiana di fronte a questo Stato che non fornisce gli strumenti per costruire la propria felicità; la perduta voglia anche di impegnarsi per portare avanti un'idea, una lotta di classe o una ribellione sociale. Tutto questo a vantaggio di chi questa situazione l'ha progettata e messa in atto.

Mente libera, occhi aperti
                                            Lo Sciacallo, Marcus L.Mason