fonte: il giornaleditalia.org |
Per la Biblioteca dello Sciacallo, questa settimana ci sentiamo di consigliare un libro che riteniamo fondamentale nell'ambito della letteratura italiana sulla Seconda Guerra Mondiale: Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa. Per la precisione, il testo in questione si occupa delle vicende interne al nostro Paese, quelle relative alla guerra civile.
Nato a Casale Monferrato nel 1935, Pansa è sempre stato un giornalista esponente della sinistra d'opposizione. Iniziò la sua carriera nel quotidiano torinese La Stampa, ma la sua più importante collaborazione fu quella con i giornali del gruppo L'Espresso: lo stesso Espresso e Repubblica, durata ininterrottamente dal 1977 al 2008, quando si interruppe per contrasti con la linea editoriale. La sua "laicità giornalistica" da sempre propugnata lo portò a quel punto a collaborare con Libero, quotidiano schierato su posizioni decisamente più destrorse.
Parallelamente all'attività giornalistica, Pansa ha sviluppato la professione di scrittore, come saggista e romanziere. Il suo principale ambito d'interesse è la Resistenza partigiana, al quale aveva dedicato anche la sua tesi di laurea, Guerra partigiana tra Genova e il Po. La Resistenza in provincia di Alessandria. Da ricordare sull'argomento possiamo citare: I gendarmi della memoria, Prigionieri del silenzio, Sconosciuto 1945 e La grande bugia. Pubblica anche un romanzo, incentrato anch'esso sugli stessi temi: I tre inverni della paura.
Il suo lavoro più celebre è però senza dubbio quello di cui abbiamo deciso di occuparci. Il sangue dei vinti, pubblicato nel 2005, è un lungo trattato in cui l'autore prende in esame i numerosissimi casi di esecuzioni, ritorsioni e crimini perpetrati da gruppi partigiani e non nel periodo successivo al 25 aprile 1945, ovvero dopo la Liberazione, a guerra finita sul suolo italiano. Gli obiettivi erano tutti coloro che erano stati fascisti o che avevano collaborato col regime, ma persino, in alcuni frangenti, semplici anti-fascisti che non si professavano però comunisti.
Pansa sceglie di raccontare questi orrori tramite un piano narrativo ben preciso, soprattutto dal punto di vista geografico. Si parte infatti da Milano, proseguendo nel resto della Lombardia e spostandosi successivamente a tutte le altre regioni del Nord Italia, dal Piemonte alla Liguria per giungere sino in Veneto dopo aver attraversato anche l'Emilia-Romagna. La metafora di un grosso cancro fatto di violenza ed odio che si spande a macchia d'olio è evidente. Pansa non tralascia particolari e narra di processi sommari, umiliazioni e stragi che interessarono ogni fascia della popolazione.
Ciò che ha però sollevato il più grande polverone è la tesi accusatoria sostenuta da Pansa all'interno del libro; il giornalista piemontese lascia trasparire che molti dei giustiziati di quel periodo fossero partigiani non settari e giornalisti che avevano avuto la colpa di denunciare gli arbitrari crimini concretizzatisi in giustizia fai-da-te e processi-farsa, commessi dalle ali più estremiste della Resistenza Partigiana, quella più vicina al Partito Comunista Italiano (PCI) di Palmiro Togliatti. Tesi pesantemente contestata in particolar modo dall'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiana).
Consideriamo il lavoro di Pansa fondamentale perché è chiaro, a nostro modo di vedere, il tentativo di dimostrare come il male non abbia mai una sola faccia, e come sia facile arrivare a commettere azioni deplorevoli e immonde quando ci si fa guidare dall'odio e non dal buon senso e dalla lungimiranza. Siamo i primi a sostenere che la Resistenza Partigiana abbia svolto un ruolo di primissimo piano nell'abbattimento di un regime che aveva condotto l'Italia dentro una guerra sbagliata e deleteria; guerra che costò la vita a un'intera generazione di giovani italiani. Non possiamo però esimerci dall'affermare che in questi frangenti coloro che hanno alzato la mano sui loro compatrioti non si sono certamente dimostrati migliori di quelli da cui ci volevano liberare. La disumanità si era impossessata anche di loro.
Piccola nota: vi consigliamo di stare alla larga dall'omonimo film del 2008 di Michele Soavi (altrove, ottimo regista). Nulla c'entra con il libro e sviluppa la teoria di partenza di Pansa in una chiave assolutamente deleteria, arrivando a mostrare i fascisti quasi come degli eroi romantici. Delirante.
Mente libera, occhi aperti
Lo Sciacallo, Marcus L.Mason
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