Muhammad Ali, fonte: Wikipedia
Ieri si è spento Muhammad
Ali, al secolo Cassius Marcellus Clay, medaglia d’oro nei mediomassimi ai giochi olimpici
di Roma nel 1960, nonché campione del mondo dei pesi massimi in tre occasioni. Risulta
complicato parlare di Ali in un momento come questo: la sua figura, infatti,
trascende la dimensione sportiva, e si eleva a una sorta di eroe mitologico. Impossibile
non parlare di lui, perché la sua storia va oltre lo sport, e tocca delle
tematiche molto vicine a quelle affrontante nel nostro blog, per questo,
abbiamo deciso di raccontarvi la sua storia, quella vera, al netto di caratterizzazioni agiografiche.
Al di là dei meriti
sportivi, evidenti, nonostante alcuni match poco chiari e condizionati dalla mafia italo-americana (su tutti i primi due
contro il leggendario Sonny Liston), gli va riconosciuto il merito di essere stato il
primo grande personaggio della storia della nobile arte. Un personaggio
istrionico, a volte profeta a volte ideologo, che ha lasciato un segno di una
importanza enorme nella storia dello sport. A differenza di quello che vi viene
detto in questi giorni dai maggiori media nazionali, non è stato il più grande
pugile della storia, perché quel riconoscimento spetta senza dubbio a Sugar Ray
Robinson (alias Walker Smith Jr), a cui lo stesso Ali si ispirava, tanto da
chiedergli di diventare il suo manager.
Non è stato nemmeno il paladino
dei diritti civili in America, visto che questo vestito gli è stato cucito in
seguito, e scoprirete tra poco il motivo. Era un uomo che prima di tutti aveva
intuito che ancor prima di diventare uno sportivo bisognava costruirsi un personaggio. Come raccontato dal giornalista sportivo Rino Tommasi, Ali
nella vita privata era piuttosto timido, ma ogni qual volta si trovava in presenza di
telecamere e giornalisti, sentiva l’esigenza di recitare una parte. La storia di Muhammad Ali
comincia dopo la scalata al trono dei massimi nel 1964, quando battè Sonny
Liston (zio materno del musicista blues BB. King), che sconfisse di nuovo due anni più tardi in seguito all'ormai celebre “pugno
fantasma”.
Il giorno successivo al suo primo incontro con Liston, il labbro di Louswille (così come veniva soprannominato Ali), rese nota la sua conversione all’Islam, aderendo alla Nation of Islam, una setta religiosa guidata dal santone Elijah Muhammad, un estremista religioso che profetizzava per gli USA l'afroislamismo, cioè, la creazione al suo interno di una nazione esclusivamente nera e filo-islamica, eretta dai discendenti delle tratte degli schiavi. Una chimera che a noi oggi sembra folle, e molto probabilmente lo era e lo è tuttora (la NOI esiste ancora e ha come leader Louis Farrakhan), ma negli USA degli anni ’70 tutti erano sognatori, e spesso i sogni, specie in un periodo come quello, finivano per diventare realtà, e allora sognare era lecito, giusta o sbagliata che fosse la causa. A parte gli appassionati di pugilato, magari non tutti sanno che Ali, a differenza di tanti suoi colleghi, discendeva da una famiglia borghese, di origini anche bianche (aveva antenati irlandesi). Sapeva esprimersi bene, era colto, un personaggio perfetto per promuovere e diffondere le idee della NOI.
Il giorno successivo al suo primo incontro con Liston, il labbro di Louswille (così come veniva soprannominato Ali), rese nota la sua conversione all’Islam, aderendo alla Nation of Islam, una setta religiosa guidata dal santone Elijah Muhammad, un estremista religioso che profetizzava per gli USA l'afroislamismo, cioè, la creazione al suo interno di una nazione esclusivamente nera e filo-islamica, eretta dai discendenti delle tratte degli schiavi. Una chimera che a noi oggi sembra folle, e molto probabilmente lo era e lo è tuttora (la NOI esiste ancora e ha come leader Louis Farrakhan), ma negli USA degli anni ’70 tutti erano sognatori, e spesso i sogni, specie in un periodo come quello, finivano per diventare realtà, e allora sognare era lecito, giusta o sbagliata che fosse la causa.
Pugilisticamente
parlando, almeno per quanto riguarda la categoria più pesante (non la più
prestigiosa, come molti profani pensano erroneamente), era una novità assoluta:
portò in quella divisione uno stile elegante, basato su un movimento di gambe
strepitoso, e un’agilità e una velocità fuori dal comune per i massimi (queste
ultime due qualità si sarebbero poi riviste nel pugilato di Mike Tyson). Pugili
così eleganti se ne erano visti prima di Ali, ma in altre categorie di peso: su
tutti, sono da ricordare il grande Sugar Ray Robinson e Benny Leonard. Fu
probabilmente il re del trash talking: era solito riempire di insulti gli
avversari, tanto da chiamare “Uncle Tom” il rivale Joe Frazier, paragonandolo di fatto allo schiavo nero protagonista dell’omonimo romanzo.
Fu il primo massimo a
rifiutare la sciagurata chiamata alle armi durante la disastrosa guerra del Vietnam
(Joe Frazier non si era arruolato per motivi famigliari). Quando Ali pronunciò
la famosa frase “Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro”, destò scalpore,
tanto da essere fermato per tre anni, con tanto di confisca del titolo. Aveva
perso tutto, ma fortunatamente per lui non aveva perso la vita, che molto probabilmente, in altri tempi, gli sarebbe potuta costare dopo una dichiarazione di quel tipo. Inoltre,
per la prima volta, quella maledetta guerra fu trasmessa in mondovisione, e
tutti gli americani, che prima avevano vissuto le guerre come se nulla fossero,
assuefatti dalle dichiarazioni di spirito patriottico fornite dai vari governi
che si erano succeduti, poterono vedere per la prima volta gli orrori di un
conflitto orribile e insensato.
Allora la gente si riversò nelle
piazze, guidate dai nascenti movimenti pacifisti per i diritti civili. Musicisti e registi captarono il cambiamento e la volontà delle masse, esprimendosi nelle loro arti e creando in questo modo un fronte unitario contro la decisione del governo americano di proseguire le attività belliche in Vietnam. Fu
allora che Ali, si trasformò da pericolo nazionale quale era a simbolo del
movimento di protesta, innalzandosi a un ruolo di profeta e rivoluzionario, inconsapevolemente. Fu allora che in America si
poté parlare pubblicamente di antimilitarismo, senza rischiare di essere accusati
di sovversivismo e antipatriottismo.
In realtà Ali non era
altro che il principale portavoce a livello sportivo della Nation Of Islam del santone Muhammad e Malcom X,
che appena capì di essere dalla parte sbagliata, e dopo essersi avvicinato alle
idee e al progetto politico di Martin Luther King, venne ucciso durante un comizio politico, si narra,
proprio su commissione della Nation Of Islam (è bene raccontare il distacco
dello stello Ali da Malcom X). Prima della ribellione di Malcom X, infatti, l’ex
campione dei massimi, quando faceva discorsi pubblici, era solito citare i suoi
“maestri”, Elijah Muhammad e Malcom X. Ci sarebbe molto altro da dire sulla
figura di Muhammad Ali. Chissà se avesse capito che la guerra si sarebbe
conclusa in una disfatta (gli americani non erano abituati a quella parola, e
non prendevano neanche in considerazione un'ipotesi così pessimista); ma come
in un romanzo ucronico, qualora gli yankees avessero trionfato, si sarebbe
parlato di Ali in questi termini o se ne sarebbe ridimensionata la figura? Non
lo sapremo mai. In ogni caso, ricorderemo Ali come il più grande personaggio sportivo del XX secolo. Senza se e senza ma.
Mente libera, occhi
aperti
Lo Sciacallo, Marcus L. Mason
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