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Nuovo appuntamento cinematografico sulle pagine de "Lo Sciacallo". E anche in questo caso, come nel precedente "Io ho paura" di Damiano Damiani, abbiamo scelto una pellicola italiana d'annata. Il film è del 1972, e si tratta di Non si sevizia un paperino, diretto da Lucio Fulci.
Come sempre, un introduttivo excursus sul regista in questione. Dopo una serie di ingaggi come responsabile di seconde unità durante tutti gli anni '50, esordì alla regia nel 1959 dirigendo un attore del calibro di Totò in I ladri. Nonostante l'evidente talento visivo e tecnico dimostrato negli anni al Centro Sperimentale di Cinematografia (celeberrimo l'episodio in cui, durante il suo esame finale, riuscì a citare al presidente di commissione Luchino Visconti tutte i movimenti di macchina e le inquadrature che questi aveva "rubato" a Jean Renoir per la realizzazione di Ossessione), a Fulci, per tutti gli anni '60 vennero affidate le regie di film di basso livello artistico ed estetico, ma che all'epoca incassavano molto bene al botteghino. Firmò infatti diversi "musicarelli", soprattutto con Adriano Celentano (per il quale compose anche i testi di successi come Il tuo bacio è come un rock o 24.000 baci). Possiamo citare, tra gli altri, I ragazzi del juke-box (1959), Urlatori alla sbarra (1960), e Uno strano tipo (1963). In seguito, Fulci fu il regista a cui si affidarono in più occasioni Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nella loro avventura cinematografica, ed è evidente che i loro film migliori sono proprio quelli curati dal cineasta romano. Ricordiamo 00-2 Operazione Luna (1965), Come svaligiammo la Banca d'Italia (1966) e Come rubammo la bomba atomica (1967).
Fulci dovette attendere il 1969 perché gli fosse finalmente offerta la possibilità di realizzare qualcosa di decisamente più personale. Dopo il flop clamoroso del comunque discreto Beatrice Cenci, arrivò la svolta con Una sull'altra, pellicola si stampo hitchcockiano (chiaro il riferimento a La donna che visse due volte) che riscrisse le regole del cosiddetto "giallo all'italiana" anche prima dell'avvento di Dario Argento. Come vedremo parlando di Non si sevizia un paperino, Fulci ebbe spesso problemi con la censura, specialmente di stampo cattolico, e con la critica in generale, che lo considerava poco, in questo periodo della sua carriera.
Verso la fine degli anni '70 arrivò l'ennesimo cambio di rotta della vita artistica di Lucio Fulci. Con Zombi 2 (1978) entrò nel mondo dell'horror, del quale rivoluzionò completamente le norme estetiche e tecniche, da buon "terrorista dei generi", come amava definirsi. Emblematica è la sua "Trilogia della Morte", fonte di ispirazione di mostri sacri del calibro di Sam Raimi e Quentin Tarantino, che lo venerava. I film in questione, fondamentali, sono: Paura nella città dei morti viventi (1980), E tu vivrai nel terrore... L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero, entrambi del 1981. Da questo momento in poi continuò a lavorare alacremente, nonostante il sopravanzare della malattia che poi lo condusse alla morte nel 1997. Tra i suoi ultimi lavori vogliamo segnalare il distopico I guerrieri dell'anno 2072 (1984), e gli horror Il miele del diavolo (1986), tendente verso l'erotico, Quando Alice ruppe lo specchio (1988) e l'eccellente esperimento meta-filmico di Un gatto nel cervello (1990), dove Fulci interpreta se stesso convinto di essere un serial-killer.
Dopo questa doverosa, e speriamo non troppo lunga, premessa, concentriamoci ora su Non si sevizia un paperino. L'azione si svolge in un piccolo borgo del centro-sud Italia, un'ambientazione insolita per un thriller di questo tipo. Chiariremo però più avanti il perché della scelta operata da Fulci.
Il paesino è scosso da una inspiegabile serie di scomparse di bambini, tutti in età di pre-adolescenza, che svaniscono letteralmente nel nulla. Indagheranno sul caso un giornalista che viene dalla città, interepretato da uno stranamente "pulito" e non "trucido" Tomas Milian, in uno dei migliori ruoli della carriera, e la figlia di un ricco borghese, la splendida Barbara Bouchet, confinata dai genitori in quel luogo sperduto per disintossicarsi, facendo frequente uso di droghe e dimostrandosi particolarmente disinibita anche nei confronti dei bambini. Nello specifico, è famosa la scena in cui un ragazzino entra nella stanza dove si trova la Bouchet, che si fa trovare completamente nuda. Accennavamo al fatto che Fulci ebbe molti contenziosi con la censura; ebbene, anche per questa sequenza fu citato in tribunale dove dovette dimostrare che nei campi con il bambino di spalle, si trattava di un nano; viceversa, nel controcampo al posto della Bouchet il bambino osservava un manichino.
Si scopre in seguito che i bambini sono stati barbaramente uccisi. Degli omicidi sarà accusata una donna del posto, soprannominata "la Maciara", interpretata da Florinda Bolkan, attrice molto in voga in quegli anni (ricordate l'Augusta Terzi di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto?) che nella parlata del Sud rende circa il significato di "fattucchiera". Ma la verità è un'altra e ben più inquietante...
Torniamo all'ambientazione; Fulci sceglie il paese di Accettura, in Basilicata, perché il Sud Italia è perfetto per dimostrare quanto sia ancora radicato un certo genere di mentalità arretrata e basata sulla superstizione nelle persone comuni. Il tempo qui sembra essersi fermato: splendido il grandangolo iniziale che passa in un batter d'occhio dal mostrare la nuova autostrada, simbolo del progresso tecnologico innescato dal boom economico ancora nel pieno, alla Maciara che compie uno strano rito in una radura della boscaglia circostante. E' chiaro che per Fulci si tratti di due mondi agli antipodi.
Tematica accentuata per tutta la pellicola; i personaggi di Milian e della Bouchet, dei veri e propri forestieri, sono sempre visti di cattivo occhio, mal tollerati, considerati autentici intrusi all'interno di una comunità che va avanti da sempre rispettando regole proprie, quasi come un universo a parte.
Una comunità che ovviamente la giustizia se la fa in casa; quando sembra ormai certo che la Maciara è colpevole, intervengono gli uomini del paese, che la uccidono colpendola ripetutamente con catene e bastoni. E' la scena più famosa del film, la catarsi della teoria di Fulci, che introduce anche una geniale innovazione registica. Decide infatti di utilizzare come "colonna sonora" dell'omicidio una canzone melodica, Quei giorni insieme a te, di Ornella Vanoni, e l'effetto è devastante.
Sottolineiamo che la Maciara riesce a trascinarsi lontano dal cimitero e arriva sino al ciglio dell'autostrada, al confine con l'altro e nuovo mondo, dove spira. Come a voler dire che quel piccolo universo arretrato e chiuso non lo si può mai abbandonare, nemmeno morendo.
Abbiamo ancora una grossa riflessione da fare, ma comporta pesante spoiler sul finale del film. Lasciamo di seguito un video con la scena che abbiamo appena descritto, la morte della Maciara, della cui bellezza vi accorgerete. Sotto il video continueremo l'analisi, quindi se non avete ancora visto il film, sconsigliamo la prosecuzione della lettura. E non lasciatevelo scappare per nessun motivo; è uno dei veri capolavori non solo di un filone, quello del giallo, ma una grande opera a tutto tondo di analisi e critica sociologica e antropologica.
L'altra fortissima presa di posizione del film riguarda il finale, e nello specifico, la risoluzione del giallo. L'omicida infatti altri non è che il giovane parroco del paese di Accettura, don Alberto, impersonato dall'attore francese Marc Porel.
Nel 1972, attribuire ad un prete il ruolo dell'assassino significava, come ben potrete immaginare, andare incontro a critiche pesantissime da parte dell'intero mondo cattolico, considerando che la DC era ancora saldamente tra i padroni del Parlamento italiano.
Fulci non ha però paura di portare avanti un discorso fondamentale; il male si nasconde in ogni piega della società, anche e forse soprattutto in quei luoghi e in quelle persone che da quello stesso male dovrebbero proteggerci.
Sulla falsa riga di questa considerazione arriva il vero colpo di genio della sceneggiatura del film; il movente degli omicidi. Don Alberto vedeva quei bambini crescere troppo velocemente, stavano perdendo il loro candore, la loro ingenuità; in loro si stavano insinuando sentimenti, pulsioni nuove. Più forti, più violente, più radicali. Litigavano continuamente, cominciavano ad interessarsi all'altro sesso; insomma, erano attirati dalla via del peccato. La chiave sta tutta qui: il prete li ha voluti a suo modo proteggere, uccidendoli prima che potessero arrivare a commettere quei mortali peccati dalle cui spire si stavano sempre di più facendo avvolgere. Don Alberto decreta, nel suo delirio, la loro salvezza: sono ancora puri, e potranno vivere per tutta l'eternità nel regno dei cieli.
Una piccola postilla: il film è ispirato a un fatto di cronaca (l'omicidio di diversi bambini) realmente avvenuto a Bitonto (Bari) nel 1971...
Un enorme grazie a Lucio Fulci per l'immensa eredità che ha lasciato all'arte che amiamo, il cinema.
Mente libera, occhi aperti
Lo Sciacallo, Marcus L.Mason
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