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giovedì 9 febbraio 2017

ARRIVAL: LA FANTASCIENZA CHE ESPANDE LA SCIENZA


fonte: spietati.it

Cari lettori, si torna a parlare di cinema sulle pagine dello Sciacallo, e questa volta il film che intendiamo proporvi non è un cult, ma si tratta eccezionalmente di una pellicola uscita da poche settimane nelle sale italiane: si tratta di un film del 2016, per la regia di Denis Villeneuve, Arrival.

Come d'abitudine, una veloce introduzione sul regista in questione: Villeneuve nasce nel 1967 nel Québéc, regione francofona del Canada. Dopo qualche cortometraggio (punto di partenza per tantissimi registi importanti) esordisce nel lungo nel 1997 presentando al festival di Cannes Un 32 aout sur terre. Negli anni immediatamente successivi gira Maelstrom (2000) e un'altra serie di corti, vincendo anche diversi premi in Canada per questi lavori. Torna al cinema nel 2009 con Polytechnique, altra produzione canadese incentrata su un episodio di violenza avvenuto a Montréal nel 1989, allorché lo studente venticinquenne Marc Lépine uccide ben 14 studentesse all'interno del Politecnico prima di suicidarsi. Una sorta di Columbine canadese, precursore di ciò che avverrà per mano di Eric Harris e Dylan Klebold dieci anni dopo.


Il 2010 è un anno fondamentale per Villeneuve, poiché gira il film che inizierà a far circolare il suo nome a livello internazionale: parliamo de La donna che canta, incentrato sui tragici avvenimenti della guerra civile del Libano, combattutasi fra il 1975 e il 1990.
Grazie al successo di questo film, Villeneuve viene coinvolto in produzioni sempre più importanti, con sensibile aumento del budget e la possibilità di dirigere attori di fama. L'esordio "americano" del regista è Prisoners, del 2013, magnifico noir "nevoso" interpretato da Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal. Non vi diciamo nulla della trama se non l'avete visto, ma vi suggeriamo caldamente di recuperarlo, trattandosi di un film davvero notevole.
Dopo un breve ritorno in Canada, dove gira Enemy (sempre con Gyllenhaal), adattamento del romanzo L'uomo duplicato, di José Saramago, presenta al Festival di Cannes 2015 Sicario, altro thriller ambientato nel mondo del narcotraffico tra Stati Uniti e Messico; film semplicemente splendido, con dei tempi di suspence impeccabili e attori molto in palla: protagonisti sono Emily Blunt, Benicio del Toro (mostruoso) e Josh Brolin.

Veniamo finalmente al 2016, quando al Festival di Venezia presenta il suo ultimo lavoro, appunto Arrival, ispirato al racconto Storia della tua vita, a sua volta contenuto nell'antologia di racconti Storie della tua vita di Ted Chiang.
La trama è molto semplice: all'improvviso, dodici astronavi extraterrestri arrivano sulla Terra sbarcando in dodici punti differenti del globo; la linguista di fama mondiale Louise Banks, interpretata in maniera magistrale da Amy Adams (attrice che recentemente è apparsa nell'altrettanto significativo Animali notturni, di Tom Ford), viene immediatamente cooptata dal governo degli Stati Uniti insieme al matematico Ian Donnelly, che ha il volto di Jeremy Renner. Costoro hanno il compito di provare a trovare la chiave per poter comunicare con queste creature, gli Eptapodi, che si esprimono attraverso un complesso linguaggio fatto di cerchi. Nel momento in cui si scoprirà la ragione del loro viaggio, le vite di tutti i coinvolti subiranno forti contraccolpi.

Possiamo tentare un'analisi della pellicola solo per sommi capi, dal momento che approfondire troppo significherebbe rovinare la visione a tutti coloro che il film se lo sono persi; gli spoiler sarebbero davvero inevitabili.
Partiamo dunque dal comparto tecnico: è chiaro che Villeneuve ha acquisito negli anni una spaventosa consapevolezza di se stesso e della macchina da presa; gira in maniera semplicemente sublime, con i suoi tipici movimenti di macchina sinuosi e avvolgenti, ma mai buttati a caso. Esattamente come nei precedenti Prisoners e Sicario si concede lunghi piani sequenza che mai infastidiscono, ma che al contrario conferiscono al film una continuità narrativa veramente invidiabile. La stessa fotografia non si discosta molto da quella degli altri lavori del regista; predilige dei toni molto freddi e algidi, il grigio, l'azzurro, il bianco, che fanno da perfetta cornice a un mondo, quello della protagonista, appiattito e apparentemente vuoto: nella prima scena del film, infatti, scopriamo che Louise ha subito una pesante perdita, che sarà molto importante nell'evolversi della vicenda.
In generale, dal punto di vista visivo, Villeneuve azzecca il film su tutta la linea, perché anche i famosi "gusci", come vengono chiamate le astronavi a causa della loro forma, sono di notevole impatto, grazie a delle splendide riprese in campo largo, specialmente se si visiona la pellicola in sala. Ma il canadese è un regista molto ambizioso e come sempre non si limita ad un mero esercizio di stile, al fine di mostrarci la sua abilità di cineasta; il suo obiettivo, a parere di chi scrive pienamente raggiunto, è molto più sostanzioso di quanto non possa apparire ad un livello superficiale. Arrival abbraccia temi di grande rilevanza per l'uomo e come ogni grande opera d'arte non pretende di dare risposte, ma di porre domande fondamentali. Villeneuve, che per la prima volta si cimentava con lo sci-fi, confeziona un film che utilizza il genere e i suoi stilemi (le astronavi, gli alieni, il nostro incontro con loro) per parlare di noi, dell'uomo e dei più grandi dubbi che albergano nella sua anima; presenti sono i temi della morte, della perdita, dell'amore, della capacità di fare scelte pesanti e assumersene la responsabilità, della paura del diverso; se conoscete Villeneuve, nient'altro che la sua poetica, quella di un vero autore. 
Nonostante questo, il fil rouge che contraddistingue ogni livello di lettura del film è quello dell'importanza del tempo, e di come decidiamo di percepirlo ed utilizzarlo; ma qui veramente non possiamo andare oltre, ci dobbiamo mordere la lingua. Aggiungiamo solo che il titolo del post forse lo capirete meglio una volta visto il film.

Possiamo perdonare all'ottima sceneggiatura di Eric Heisserer qualche piccola sbavatura narrativa, che viene a nostro giudizio surclassata dalla potenza visiva ed emozionale messa in gioco da Villeneuve e dai suoi attori, tutti strepitosi.
C'è chi ha tacciato il film di retorica e presunzione: noi ci permettiamo di dissentire sottolineando come preferiamo di gran lunga qualcuno che abbia come modello e fonte di ispirazione 2001-Odissea nello spazio, piuttosto che Twilight o Colpa delle stelle. Come va di moda dire oggi, sono gusti.

Mente libera, occhi aperti
                                            Lo Sciacallo, Marcus L.Mason

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